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Coronavirus, Moderna versus Pfizer: i due vaccini (che fanno sperare il mondo) a confronto

16 Novembre 2020 - 17:06 Juanne Pili
Un altro vaccino a RNA messaggero sembra dare riscontri promettenti. Dall’efficacia alla temperatura di conservazione: ecco cosa sappiamo al momento e quali sono le differenze con l’altro vaccino

Dopo Pfizer/BioNTech è la volta del comunicato ufficiale della casa farmaceutica Moderna. Anche in questo caso dovremo attendere la pubblicazione dello studio, ma sul sito dell’azienda sono stati comunicati i risultati preliminari riguardanti un gruppo ristretto di 95 volontari. Parliamo sempre di un vaccino a mRNA (RNA messaggero) contro il nuovo Coronavirus, che sembrerebbe aver superato con risultati promettenti la fase 3, nell’ambito di un trial in corso che riguarda 30 mila partecipanti. La casa farmaceutica riporta l’esito di quanto risulta al Consiglio indipendente di monitoraggio della sicurezza dei dati (DSMB), riguardo al meglio definito «mRNA-1273». In sostanza, questi risultati preliminari soddisferebbero i criteri del protocollo fissato al fine di testare efficacia e sicurezza del vaccino, consultabile online fin dall’agosto scorso.

«Questo studio, noto come studio COVE – recita il comunicato – ha arruolato più di 30.000 partecipanti negli Stati Uniti ed è condotto in collaborazione con il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), parte del National Institutes of Health (NIH) e il Biomedical Advanced Research and Development Authority (BARDA), parte dell’Ufficio del Segretario aggiunto per la preparazione e la risposta presso il Dipartimento della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti».

Efficacia e sicurezza nei giusti tempi

Moderna come Pfizer è sostenuta dall’operazione Warp Speed della Casa Bianca e ha beneficiato del processo di Rolling Review, come similmente è accaduto col vaccino di Oxford/AstraZeneca. Si tratta in sostanza di ridurre tutti quei procedimenti burocratici non indispensabili nell’ottica di ottimizzare i tempi. Le dosi vengono prodotte parallelamente alla sperimentazione, come precisato in una nota apparsa l’11 agosto scorso nel sito del Dipartimento della salute americano:

«Moderna produrrà le dosi del vaccino mentre sono in corso le sperimentazioni cliniche – riporta il portale governativo – La produzione in parallelo con le sperimentazioni cliniche accelera la tradizionale tempistica di sviluppo dei vaccini e si concentra sull’obiettivo dell’Operazione Warp Speed ??del governo degli Stati Uniti di iniziare a fornire vaccini sicuri ed efficaci al popolo americano entro la fine dell’anno. Se la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ne autorizzasse l’uso come delineato nelle linee guida dell’agenzia, le dosi del vaccino sarebbero distribuite e utilizzate come parte di una campagna di vaccinazione COVID-19».

Nessuna accelerazione vera che sacrifichi la correttezza delle sperimentazioni, dunque, quanto una accurata gestione dei tempi. Moderna assieme a Oxford/AstraZeneca, Pfizer/BioNTech, Johnson & Johnson e altre case farmaceutiche, si è anche impegnata – sottoscrivendo una sorta di manifesto condiviso – a non ridurre i tempi necessari alla sperimentazione, rifiutando compromessi in tal sorta coi governi interessati.

Le fasi della sperimentazione in sintesi

Per approfondire suggeriamo la lettura della nostra Guida ai vaccini arrivati alle fasi più avanzate della sperimentazione, da cui estrapoliamo una sintesi di quelle che sono le tappe essenziali, pre-cliniche e cliniche, a garanzia della integrità della ricerca nel campo di tutti i farmaci, garantendone efficacia e sicurezza:

Si comincia sempre coi test preclinici, dove è indispensabile la Sperimentazione animale. Oggi più che mai è diventata evidente l’importanza di utilizzare degli organismi complessi, in qualche modo simili al nostro, perché una terapia non può dimostrare efficacia e sicurezza sulle sole piastrine da laboratorio. Gli esperimenti in vitro sono sicuramente importanti, ma come primo passo. Già il passaggio dagli esperimenti nelle colture cellulari ai test sugli animali, screma numerose idee che sembravano inizialmente promettenti;

A questo punto il vaccino passa alla Fase I, dove lo si somministra a un piccolo gruppo di persone perfettamente sane, magari del personale sanitario, cominciando a testarne efficacia e sicurezza, cosa che si ripeterà ovviamente nelle fasi successive;

Nella Fase II il numero di volontari a cui si somministra il vaccino comincia a essere più ampio, nell’ordine delle centinaia di persone, divise per gruppi con differenti caratteristiche, almeno uno di questi riceverà un placebo, così da scremare effetti dovuti alla suggestione o ad altri fattori non visti nelle fasi precedenti;

Nella Fase III si fa grosso modo lo stesso genere di test di quella precedente, ma con migliaia di volontari. Diventa fondamentale accertarsi che non vi siano significativi casi di eventi avversi.

I limiti della stima di Moderna sul 94,5% di efficacia

Lo studio di Moderna, denominato COVE, illustra l’efficacia del vaccino sulla base dei casi confermati di Covid-19 nell’arco di due settimane dalla somministrazione. Su 95 volontari, 90 avevano ricevuto un placebo, solo in cinque di loro era presente l’mRNA-1273. Undici persone appartenenti al gruppo placebo hanno sviluppato forme gravi della malattia, tutti i cinque vaccinati sono risultati invece negativi. 

Il limite di questo riscontro, oltre alla evidente preliminarietà – come riportano gli stessi autori – consiste nel fatto che i nuovi casi tendono a palesarsi nel tempo, questo potrebbe portare a un aggiornamento della loro stima. È infatti sulla base di questo singolo riscontro che leggiamo di una efficacia del 94,5%. Del resto sul totale di 95 persone, 15 erano over 65, ovvero i soggetti più a rischio. Non sappiamo al momento come erano distribuiti tra gruppo di controllo (quello a cui è stato somministrato il placebo) e gruppo di persone effettivamente vaccinate. 

Del resto, gli autori del comunicato assicurano che «L’analisi preliminare suggerisce un profilo di sicurezza ed efficacia sostanzialmente coerente in tutti i sottogruppi valutati». Così come nel caso di Pfizer, è molto improbabile che si lancino annunci iperbolici in queste ultime fasi, anche se sarebbe meglio attendere di leggere degli studi veri e propri, prima di cantare vittoria.

«Lo studio continuerà ad accumulare dati aggiuntivi rilevanti per la sicurezza e l’efficacia – continua il comunicato – anche dopo la presentazione di una [autorizzazione per uso emergenziale da parte della FDA] Le stime finali dell’efficacia del vaccino per gli endpoint sia primari che secondari dipenderanno dalla totalità dei dati che si accumuleranno per [aggiornare] l’analisi finale».

Come funziona

Il vaccino costituito dal mRNA-1273, similmente a quello di Pfizer, usa RNA messaggero, contenente le istruzioni per far produrre direttamente dalle nostre cellule le sole glicoproteine Spike (S), ovvero gli antigeni di SARS-CoV-2: si tratta di proteine situate normalmente attorno al Coronavirus, in grado di legarsi ai recettori ACE2 delle cellule-bersaglio; sono anche individuate dal nostro Sistema immunitario per imparare a riconoscere e neutralizzare il virus.

Di norma il DNA contenuto nel nucleo comunica col resto della cellula, producendo RNA messaggero, si tratta quindi di un meccanismo naturale, su cui si basano i vaccini a mRNA. In questo modo noi stessi produrremo il vaccino, facendo credere al nostro organismo che il nuovo Coronavirus lo stia infettando, immunizzandoci senza incorrere nei sintomi della Covid-19. Se invece non dovesse rivelarsi così efficace come sembra, potrebbe comunque scongiurare o ridurre considerevolmente il rischio di incorrere nelle forme gravi della malattia. Lo stesso discorso si potrebbe fare per Pfizer. Staremo a vedere.

Differenze tra Moderna e Pfizer

Dal momento che viene utilizzato il medesimo approccio, non esistono al momento sostanziali differenze tra i vaccini di Pfizer e Moderna, questo anche perché mancano riscontri definitivi, analizzabili attraverso studi pubblicati su riviste scientifiche. Entrambi i comunicati delle case farmaceutiche mostrano – sulla base di dati preliminari – una stima di efficacia di poco sopra il 90%. 

L’unica differenza riscontrabile al momento – ma che potrebbe rivelarsi decisiva – riguarda la resistenza del vaccino. Quello di Pfizer necessita di essere stoccato a -75°C, finché non viene trasferito a 4°C su normali frigoriferi, dove può resistere per cinque giorni. Il vaccino di Moderna invece dovrebbe poter essere stoccato a -20°C, resistendo poi in frigorifero per circa un mese. Sottolineiamo comunque che non stiamo parlando dei surgelati che troviamo al supermercato, a noi interessa innanzitutto compararne efficacia e sicurezza, cosa che al momento non possiamo ancora fare.

Foto di copertina: Barron’S | Il logo della casa farmaceutica Moderna.

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