Il Coronavirus circolava in Italia a settembre 2019? Lo studio italiano non lo dimostra, ma c’è un lato positivo

di Juanne Pili

Trovare anticorpi neutralizzanti mesi prima di febbraio non dimostra la presenza precoce del SARS-CoV2 in Italia

Sta facendo scalpore il recente studio preliminare dell’Istituto Tumori di Milano, dove gli autori dichiarerebbero di aver trovato traccia del nuovo Coronavirus in Italia fin dal settembre 2019. Tuttavia, contrariamente a quanto riportato da altre testate con titoli del tipo «Il Coronavirus circolava in Italia già a settembre 2019», a Open risultava che il documento parlasse del rilevamento di anticorpi neutralizzanti e non del virus Sars-Cov-2. L’uno non conferma l’altro, lo abbiamo spiegato in un articolo precedente.

Il paper – così come viene presentato – non può dimostrare che SARS-CoV2 circolasse già all’epoca; al massimo potrebbe aver trovato indizi di una cross-reazione, ovvero la possibilità già nota che gli anticorpi suscitati dai Coronavirus umani del raffreddore, possano in certi casi risultare neutralizzanti anche contro il SARS-CoV-2. Tuttavia, anche questa è una ipotesi che necessiterà nuovi studi, magari nello sviluppo di veri e propri vaccini universali contro tutti i Coronavirus.

I titoli riguardanti il paper pubblicati dai giornali italiani.

Per chi va di fretta: cos’è la cross-reattività

Come suggerisce un precedente report di Science, è possibile che precedenti infezioni dovute a Coronavirus comuni inducano la produzione di anticorpi specifici «cross-reattivi», ovvero capaci di legarsi anche al principale antigene di SARS-CoV-2, senza esserne mai venuti a contatto. I ricercatori di Science trovano evidenze persino in un gruppo di pazienti risalenti al periodo 2011-2018, ben prima del periodo indicato di settembre 2019.

Lo studio italiano, come vedremo, non fornisce diversi dettagli importanti. Secondo gli autori, «sono stati rilevati in 111 individui su 959 (11,6%), a partire da settembre 2019 (14%), con un cluster di casi positivi (> 30%) nella seconda settimana di febbraio 2020 e numero più alto (53,2%) in Lombardia. Questo studio mostra un’inaspettata circolazione molto precoce di SARS-CoV-2 tra individui asintomatici in Italia diversi mesi prima dell’identificazione del primo paziente». Pare proprio che venga ignorato il fenomeno della cross-reazione.

I limiti dello studio italiano in dettaglio

Nel primo test i ricercatori verificano se gli anticorpi si legano al RBD (Receptor-Binding Domain)», una porzione della subunità S1 della glicoproteina Spike (S), ovvero l’antigene che il virus utilizza per legare i recettori ACE2 delle cellule bersaglio, per moltiplicarsi al loro interno. Questo però non può dimostrare la presenza di SARS-CoV-2, perché come spiegato nel report di Science, sono stati già osservati anticorpi specifici dovuti ad altri Coronavirus umani, capaci di legare, per esempio, con la regione S2 del RDB. Insomma, la cross-reattività è un fenomeno già noto; ma i ricercatori italiani, non spiegano come avrebbero escluso questa eventualità. 

Proprio quando nel successivo test gli autori accertano la possibilità che questi anticorpi neutralizzino il SARS-CoV2, realizzano che questo succede solo in 111 campioni su 959 presi dal settembre 2019, al marzo 2020. Quindi sono circa il 10%; la stessa proporzione viene trovata negli studi precedenti sulla cross-reattività degli anticorpi specifici. Abbiamo inoltre 6 positivi solo tra settembre e ottobre su 111, cosa che rientra nella probabilità che possano esserci dei falsi positivi. Quindi in generale tutto questo non ci dice niente di straordinario, nulla di talmente significativo da dimostrare l’effettiva presenza del nuovo Coronavirus in Italia fin dal settembre 2019.

Il test “fatto in casa

Per evincere la presenza di anticorpi specifici è stato usato un test diagnostico ELISA (per approfondire suggeriamo la lettura della nostra Guida ai test diagnostici per il SARS-CoV-2). Si tratta però di un test prodotto «in-house», ma non abbiamo modo di sapere se le sue prestazioni sono al pari (o migliori) dei test ELISA commerciali, quindi già validati ufficialmente.

«The serologic assay used in this study is an in-house designed RBD-based ELISA, namely, VM-IgG-RBD and VM-IgM-RBD, and is a proprietary assay developed by using spike glycoprotein (S-protein), which mediates bind- ing to target cells through the interaction between the RBD and the human angiotensin-converting enzyme 2 (ACE2) receptor».

Non mettiamo in dubbio che lo strumento usato dai ricercatori sia valido, però lo studio non ci dà alcun riferimento in merito. Insomma, per come sono stati presentati i dati, non possiamo al momento escludere dei falsi positivi; in alternativa, come già ribadito più volte, resta notevolmente più plausibile l’ipotesi della cross-reattività.

Conclusione: plausibile non significa dimostrato

Il virus in Italia era presente già prima di febbraio? Studi precedenti suggeriscono che potesse circolare nel Nord Italia fin da gennaio, ed è plausibile che lo fosse da molto prima, solo che questo genere di studi non possono essere considerati delle prove in tal senso.

Essere positivi agli anticorpi, non significa esserlo necessariamente anche nel test PCR, quello che evince l’effettiva presenza di genoma virale; per questa e altre ragioni, si raccomanda che venga sempre fatto per accertare al di là di ogni dubbio la positività al SARS-CoV-2, per altro ripetendolo più volte a distanza di un certo lasso di tempo.

C’è un aspetto positivo, soprattutto in tema vaccini. Lo studio dell’Istituto Tumori di Milano potrebbe rappresentare un indizio in più della cross-reattività degli anticorpi, nell’ottica di impostare una ricerca su futuri vaccini più efficaci, niente di più.

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