Renzi tira troppo la fune ma (forse) vince: Conte fuori dai giochi, Caporetto Pd e 5 stelle. Cosa resta della crisi di governo

Gioco, partita, incontro: il senatore di Rignano, in un colpo solo, allontana l’avvocato da Palazzo Chigi, porta alla spaccatura il Movimento 5 stelle e porta al Quirinale una figura sulla quale sarà difficile non accordarsi

L’incertezza che trapelava per tutta la convulsa giornata di ieri 2 febbraio da palazzo Montecitorio era reale, non strategica: al tavolo della trattativa, le forze della maggioranza indicata da Sergio Mattarella non riuscivano a trovare un accordo. Così, il presidente della Repubblica, dopo aver ricevuto Roberto Fico al Quirinale, in sette minuti ha esautorato i partiti da ogni decisione: sarà governo tecnico-istituzionale, con piena capacità decisionale per gestire la crisi del Coronavirus.


Giovanni Grasso, direttore dell’ufficio stampa del Quirinale, subito dopo il discorso di Mattarella ha annunciato che, alle 12 di oggi, 3 marzo, Mario Draghi salirà al Colle. Il nome è quello di più alto profilo, per il quale il presidente della Repubblica, rivolgendosi alle forze politiche, ha chiesto il massimo sostegno. Tutto ciò, al fine di scongiurare le urne. Girano già i nomi di chi potrebbe entrare a far parte dell’esecutivo: Fabio Panetta, membro del board della Bce, e la costituzionalista Marta Cartabia in pole position.


Un governo che avrà una forte impronta tecnica, ovvero «un governo che non debba identificarsi con alcuna formula politica» per dirla con le parole di Mattarella: si consumano le chance degli attuali ministri di conservare il posto. Solo Luciana Lamorgese, particolarmente apprezzata dal Quirinale e considerata la più tecnica dell’esecutivo precedente, potrebbe essere confermata al Viminale. Non è escluso, però, che in cambio della fiducia alcuni partiti possano cercare strade poco vistose per infiltrare qualche esponente

Ha vinto Renzi?

L’incarico a Draghi è la vittoria di Matteo Renzi e la sconfitta della politica. Non che il senatore di Rignano sia l’antitesi dell’arte del governo, tutt’altro: un uomo solo, in una lotta molto personalizzata con Giuseppe Conte, è riuscito a nascondere il suo asso nella manica fino alla fine della trattativa. Rendendo quasi superflua la trattativa stessa: «La vera vittoria non è l’uscita di scena di Conte – racconta a caldo un senatore di Italia Viva -, ma Mario Draghi a Palazzo Chigi. È il miglior premier possibile».

Il dubbio si insinua anche nel Partito democratico: «Se Draghi era l’obiettivo di Renzi perchè questa sceneggiata?», punge Andrea Orlando. Whatever it takes, gli risponderebbe Renzi. Il mandato esplorativo a Roberto Fico, il tavolo parallelo imbastito con gli altri leader di partito: all’ex sindaco di Firenze serviva tempo per consolidare il suo gruppo e verificare la fattibilità dell’ipotesi Draghi 1. Circa una settimana fa, da Italia Viva sono cominciate a trapelare veline su una possibile nomina a Chigi del romano di Francoforte.

Rimane una domanda: è la politica che non è stata in grado di organizzarsi per gestire la cosa pubblica durante l’emergenza sanitaria ed economica, aggrappandosi a un tecnico, oppure è la politica che ha scelto di scaricare le responsabilità su un tecnico, per salvarsi dal giudizio che comunque arriverà, e sarà tagliente, partendo dai ritardi sui vaccini e finendo al fallimento di centinaia di pmi? Una responsabilità che, se Draghi riuscirà a ottenere la fiducia – il “no” arrivato in nottata dal Movimento 5 stelle rende incerti i numeri in parlamento -, sarà ripartita anche con Italia Viva, artefice del ricorso al governo istituzionale.

Tutti credevano che l’obiettivo di Renzi fosse cancellare dalla scena politica Conte tirando la fune della trattativa sui temi e sui ministri di un Conte ter. Invece, Italia Viva considera l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi come «la migliore opzione possibile», afferma un deputato del partito. Le altre forze di maggioranza erano concentrate nella difesa dell’avvocato pugliese, ignorando che le aperture su possibili ministeri da dare ai renziani, deleghe e posti da sottosegretario erano solo un modo per prendere tempo. Con i 5 stelle, sul Mes ad esempio, l’accordo non si sarebbe mai raggiunto. Lo sapevano tutti, ma ci sono cascati lo stesso.

Eppure Renzi l’aveva annunciato subito dopo la consultazione da Mattarella: disponibilità a un governo politico, ma anche a uno istituzionale se necessario. Ed era necessario, evidentemente, per imprimere un cambio di passo all’agenda politica: lavoro, grandi opere e infrastrutture, Recovery Plan. La partita sui temi la portano a casa i renziani, sicuramente i più affini alla linea Draghi per collocamento politico rispetto ai partiti che componevano la precedente maggioranza. La partita sui nomi? È tutto da vedere, ma un nome vale la testa di tutti: Conte non sarà più l’inquilino di Palazzo Chigi e anche la sfida sul piano personale l’ha incassata Renzi.

La trattativa saltata

Il duo Goffredo Bettini – Nicola Zingaretti per il Pd, il reggente Vito Crimi e l’influente Luigi Di Maio per i 5 stelle, i responsabili, i centristi e tutti coloro i quali si sono spesi per provare a formare un governo politico di centrosinistra sono stati messi sotto scacco. Partivano da una posizione di forza, tutti uniti intorno al nome di Conte, e con un rilievo numerico in parlamento enorme rispetto ai 18 senatori renziani. Credevano di averla chiusa, la partita, avrebbero ceduto un ministero più importante rispetto alla Famiglia – si parlava del Lavoro o del Mit -, sembravano esserci i presupposti per consentire a Conte di restare a Palazzo Chigi.

Poi, alle 19.40, è Renzi a gelare tutti: «Bonafede, Mes, Scuola, Arcuri, vaccini, Alta Velocità, Anpal, reddito di cittadinanza. Su questo abbiamo registrato la rottura, non su altro. Prendiamo atto dei niet dei colleghi della ex maggioranza. Ringraziamo il presidente Fico e ci affidiamo alla saggezza del Capo dello Stato», scrive su Twitter. Gli altri, allora, si affrettano a spiegare alla stampa che la responsabilità è stata di Renzi, «voleva decidere i nomi dei ministeri degli altri partiti», dirà Crimi. Ma non basterà: il Movimento ha accelerato la fase di sgretolamento, «è un reggente senza legittimazione della base, senza polso per una trattativa di questo tipo», afferma a Open un senatore grillino.

Il segretario del Pd, invece, manda un messaggio tiepido senza mai citare Draghi: «Abbiamo fatto davvero di tutto per ricostruire una maggioranza, in un momento difficile – scrive -. Da domani saremo pronti al confronto per garantire l’affermazione del bene comune del Paese». Un confronto che dovrà essere rivolto anche verso l’interno, visto che la trattativa non ha portato nulla al Pd, se non altro livore nei confronti di Renzi. Il primo incontro ci sarà domani, con l’assemblea dei Deputati convocata dal capogruppo Graziano Delrio.

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