Proteggono oppure no? Cosa sappiamo delle mascherine U-Mask finite sotto indagine per pubblicità ingannevole

Hanno ottenuto successo internazionale, indossate da star e sportivi. La Procura di Milano e l’Antitrust vogliono vederci chiaro, sul grado di protezione e sulla pubblicità

È il 25 gennaio quando J., 27 anni, operatore sociale a Milano, riceve – in qualità di cliente registrato – la prima di tre mail di chiarimento da parte di U-Mask, l’azienda produttrice di mascherine al centro di un’istruttoria dell’Antitrust per pubblicità ingannevole. Nello stesso mese, la Procura di Milano aveva eseguito il sequestro di 15 campioni prodotti da U-Mask per presunte irregolarità, denunciate da una ditta concorrente, riguardo le dichiarazioni di capacità di filtraggio dei prodotti.


Le mail ai clienti e la nota dell’azienda

Nel primo messaggio inviato a clienti come J., l’azienda fondata da Betta Maggio con sede a Londra e Milano, e attiva dal 2009 nel settore dei sistemi di purificazione dell’aria, anticipa la messa in onda di un servizio di Striscia la notizia «che tenderà a screditare le nostre mascherine con affermazioni in alcun modo pertinenti e radicalmente prive di fondamento». Interpellata da Open, dall’azienda affermano di «non poter rilasciare dettagli a indagini in corso». In un comunicato rilasciato dall’ufficio stampa aziendale spiegano come «su richiesta della Procura della Repubblica di Milano, abbiamo fornito agli inquirenti tutta la documentazione richiesta». E ribadiscono: «Il prodotto U-Mask rispetta pienamente le norme e le leggi in materia». Inoltre «la documentazione tecnica relativa ai nostri dispositivi è stata a suo tempo inviata alle Autorità competenti (Ministero della Salute) che ne ha disposto l’approvazione e la registrazione come dispositivi medici di Classe Uno».


La mail inviata da U-Mask ai propri clienti per difendersi dal servizio di Striscia la notizia

La classificazione ministeriale e i test sul prodotto

Come si evince dai documenti del Ministero della Salute citati dalla stessa azienda, infatti, la U-Mask è registrata con il codice 1937098 tra i dispositivi medici di “Classe Uno”. In questa categoria di appartenenza rientrano anche le mascherine chirurgiche, che permettono di proteggere gli altri dalle proprie secrezioni ma non il contrario, come succede con i dispositivi di classe Dpi. Che è quella in cui però l’azienda fa rientrare la “Model Two”, presentata come di «efficienza superiore, paragonabile a un Ffp3». Ma allora le mascherine prodotte da U-Mask sono sicure e soprattutto migliori di una Ffp3? Il costo sullo store ufficiale per una “Model Two” è di 33 euro, più alto di quello di una qualsiasi mascherina FFP2/FFP3 come di una chirurgica. Il claim vende il prodotto come mascherina con qualità «auto-sanitizzanti e anti-proliferative». Secondo i calcoli dell’azienda, inoltre, la mascherina è in grado di proteggere chi la indossa per 25 giorni, con una media di 8 ore al giorno, su un totale di «200 ore di utilizzo effettivo».

A questo proposito, U-Mask invia altre mail ai suoi clienti. In quella per J. datata 30 gennaio condivide certificazioni sui prodotti, dove c’è anche il documento del Ministero della Salute; mentre in quella del 5 febbraio, diffonde un articolo pubblicato della rivista Altroconsumo, dove «si prova l’efficacia della mascherina» anche contro le particelle del Coronavirus. Nell’articolo di Altroconsumo si effettuano test sulla “Model Two”, e si scrive che la mascherina è sicura. Ma nello stesso articolo si dice anche che l’azienda «allude alla capacità di protezione tipica dei dispositivi di protezione individuale Ffp e non a quella delle mascherine chirurgiche, categoria alla quale invece appartiene».

Quindi, stando allo stesso articolo di Altroconsumo diffuso da U-Mask, la “Model Two” è sicura ma non più protettiva di una mascherina chirurgica tradizionale e dal costo decisamente inferiore. Nel messaggio inviato a tutti i suoi clienti, infine, U-Mask sostiene che «la misurazione di questi parametri è stata effettuata da un laboratorio altamente qualificato», il Clodia Diagnostic & Servicese Srl con sede a Chioggia e Bolzano, la cui sede in Trentino è attualmente sottoposta a sequestro da parte della Guardia di Finanza.

Il nodo della presunta pubblicità ingannevole

Secondo le autrici dell’articolo, l’azienda «giocando su immagini e parole mutuate dalla scienza» avrebbe dato «la sensazione a molti consumatori che la U-Mask abbia delle qualità speciali». Le stesse che hanno portato al successo il prodotto dell’azienda, che dal marzo scorso è diventato vero e proprio status-symbol grazie alle sponsorizzazioni e al marketing che ha coinvolto personalità dello spettacolo, team sportivi e celebrità internazionali. Le considerazioni di Altroconsumo sono simili a quelle che hanno portato l’Antitrust a indagare U-Mask per presunta pubblicità ingannevole. Secondo l’Autorità, la strategia pubblicitaria adottata da U-Mask enfatizzerebbe «l’efficacia di questi dispositivi con modalità ingannevoli e aggressive, sfruttando la situazione di emergenza per indurre il consumatore a comprare a prezzi elevati». L’Autorità, inoltre, contesta presunte «omissioni e ambiguità sul sito in relazione al diritto di recesso, al foro del consumatore e alla garanzia legale».

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