La variante «inglese» uccide di più? «Dati incerti. Se crescono i contagi, aumenta la mortalità» – L’intervista

Il professor Fausto Baldanti a capo del Laboratorio di Virologia Molecolare dell’Ospedale di Pavia, commenta i dati diffusi dai consiglieri scientifici del governo Johnson

Oltre ad essere più contagiosa potrebbe uccidere di più. Lo scenario annunciato da Boris Johnson sulla variante “inglese” di Covid-19 non può che preoccupare. Il dato di una percentuale aumentata di decessi causati dalla mutazione scoperta per la prima volta nel Kent, a sud-est di Londra, proviene dal NERVTAG, il gruppo di scienziati ed esperti scelti dal governo per fornire aiuto e consulenza nella lotta al virus. Se così fosse, la diffusione della variante “inglese” in sempre più Paesi d’Europa e del mondo porterebbe a un altro grande pericolo da cui difendersi. Quanto dobbiamo preoccuparci sul rischio decessi da variante “inglese“?


Open lo ha chiesto al Laboratorio di Virologia Molecolare del San Matteo di Pavia, uno dei centri in Italia più specializzati in sequenziamento e che attualmente è occupato a tracciare le mutazioni del virus presenti in Italia. Il professor Fausto Baldanti, medico responsabile dell’eccellenza pavese, cerca di fare chiarezza. «Si tratta di uno studio effettuato dalla sanità inglese e ha previsto la raccolta di dati provenienti da diverse zone del Paese. Il problema è che la modalità di analisi, raccolta e campionamento scelte dalle singole realtà locali sono molto disomogenee tra loro. Così come le percentuali che ne derivano».


Si tratta quindi di una rilevazione non attendibile?

«I risultati sono contrastanti. Al punto 7 gli scienziati parlano di un incremento possibile della mortalità, al punto immediatamente successivo di un “rischio assoluto di morte che rimane basso”. E poi la variabilità delle percentuali: dove il 70%, dove il 30%, dove addirittura nulla. I dati raccolti riguardano, per alcune zone, solo pazienti ricoverati; per altre zone pazienti presenti sul territorio ma fuori dagli ospedali; alcune hanno scelto un preciso range di età, altri seguendo criteri clinici o temporali differenti. D’altronde si legge anche in modo riassuntivo nel testo: “Queste analisi sono state tutte effettuate in vari modi per età, luogo, ora e altre variabili”. Per questo anche se volessimo fare una media, non sarebbe possibile per via della non leggibilità dei dati dal punto di vista scientifico».

Quelle di cui parliamo dunque non sono evidenze scientifiche. La sua percezione sul campo invece qual è?

«Che ci sia una indiscussa maggiore contagiosità e questo ora deve essere la preoccupazione principale. Per la legge dei grandi numeri è chiaro che se i contagi aumentano, crescerà anche il fronte dei decessi. Ma occorre prudenza soprattutto su percentuali riguardanti ulteriori fronti, di fatto non verificati come si dovrebbe. In Lombardia si combatte con una prevalenza del 35% di variante “inglese” nei casi registrati su territorio regionale. Su questo bisogna ora intervenire e considerare che gli studi che si stanno accumulando parlano di un effetto immutato sui tre vaccini attualmente autorizzati. La variante “inglese” è coperta dalle vaccinazioni».

Se solo andassero al ritmo necessario …

«Questo è il vero punto. Incrementare il più possibile la velocità di vaccinazione. Israele continua ad essere un esempio: la campagna di somministrazioni a tappeto sta dando frutti sull’alta diffusione della variante “inglese”, contagi, decessi e ricoveri stanno scendendo progressivamente».

Insieme però a un lockdown parallelo a cui sono ricorsi per arginare la diffusione …

«È certo che occorre prudenza perché sono mesi cruciali. Ma prudenza non vuol dire dover ricorrere necessariamente a soluzioni super drastiche».

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