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Come fa il Regno Unito a uscire dal lockdown con la variante Covid: il piano di Boris Johnson per riaprire tutto a giugno

25 Febbraio 2021 - 06:18 Riccardo Liberatore
Più di un quarto dei cittadini britannici ha ricevuto la prima dose del vaccino e le ospedalizzazioni sono in netto calo. Ma la vaccinazione parziale è una scommessa che comporta dei rischi, a partire dalla durata della copertura

Nel Regno Unito della controversa “immunità di gregge” e della variante che fa preoccupare il mondo, Boris Johnson si sta prendendo una rivincita. Innanzitutto, le vaccinazioni procedono in modo spedito, grazie anche all’autorizzazione ottenuta precocemente rispetto ai Paesi Ue dei vaccini Pfizer e AstraZeneca. Tra i Paesi di dimensioni simili al Regno Unito – quindi escluso Israele (che conta 9 milioni di abitanti), le Seychelles (circa 97 mila) e gli Emirati Arabi (9,7 milioni) – nessuno sta vaccinando i propri cittadini così velocemente. Nel Paese sono state somministrate oltre 18 milioni di dosi (dati aggiornati al 24 febbraio), pari a oltre il 25% della popolazione. Inoltre, dopo un nuovo lockdown invernale introdotto alla vigilia della Brexit e dopo la scoperta della nuova variante, con i dati in miglioramento il governo di Johnson si prepara a riaprire, definitivamente. Ma per farlo scommette sulla buona tenuta della vaccinazione parziale della popolazione.

Usare tutto e subito: la strategia delle singole dosi

Effettivamente gli indicatori pandemici sono positivi. Nel corso delle ultime settimane il numero di morti a causa del Covid si è praticamente dimezzato (-47%) e i casi sono diminuiti del 36%. Ma è soprattutto il tasso di ospedalizzazioni ad essere sceso notevolmente. Il 14 febbraio era meno della metà rispetto a un mese prima. Merito delle vaccinazioni (oltre al lockdown)? Pare di sì. Lunedì Public Health England, un’agenzia del dipartimento della Salute, ha dichiarato che anche una singola dose del vaccino Pfizer riduce di oltre il 75% le probabilità di ricoveri tra gli anziani. Gli studi citati dall’agenzia – sono tre in totale, due sul vaccino Pfizer e uno su quello di AstraZeneca – sembrano indicare che i vaccini funzionano anche contro la variante che a partire da dicembre ha fatto correre ai ripari il Governo.

Soprattutto, ed è questo il dato fondamentale, una sola dose di uno dei due vaccini basterebbe per ridurre in modo significativo la circolazione del virus e le ospedalizzazioni anche se, aggiungono gli scienziati, è ancora troppo presto per valutare gli effetti con precisione. Secondo lo studio condotto in Scozia su oltre 1 milione di persone (inoculate tra l’8 dicembre 2020 e il 15 febbraio 2021), una sola dose dei vaccini Pfizer e AstraZeneca ha ridotto le ospedalizzazioni rispettivamente dell’85% e del 94%.

La strategia adottata dal governo britannico si basa su questa scommessa, visto che il governo ha deciso di posticipare fino a tre mesi la somministrazione della seconda dose del vaccino a chi ne ha già ricevuto la prima. Si tratta di una scommessa perché gli stessi studi dimostrano che l’efficacia del vaccino è molto superiore dopo aver ricevuto la seconda dose. Per gli over 80 infatti l’efficacia di una sola dose del vaccino Pfizer è del 57%, mentre con la seconda dose il dato sale a 88%. Uno degli studi citati, condotto su circa 19 mila operatori sanitari, mostra che, su questo gruppo più giovane, le percentuali sono rispettivamente 70 e 85%.

Certo è che anche se la copertura parziale permette di vaccinare un numero maggiore di persone, per proteggere i cittadini più vulnerabili e arginare definitivamente l’epidemia, le persone inoculate dovrebbero essere ancora di più. Inoltre, come ha dichiarato al New York Times Arne Akbar, docente presso University College London e presidente della Società britannica di Immunologia, «bisogna ancora capire quanto duri la copertura di una singola dose». Come riportato nello studio condotto in Scozia, infatti, il rischio di finire in ospedale con il Covid torna ad aumentare dopo circa 4-5 settimane.

Dopo il lockdown invernale, la riapertura (definitiva)

Ma il Governo di Johnson ha fretta. Lunedì 22 febbraio il premier britannico ha presentato un piano per l’uscita graduale dal lockdown, che si articola in quattro fasi: la prima va dal 8 al 29 marzo e prevede la riapertura completa di tutte le scuole, con tanto di tamponi bi-settimanali per gli studenti delle scuole medie e superiori e la somministrazione di test a cadenza regolare per tutti gli insegnanti. L’esecutivo guidato da Johnson ha anche messo da parte 700 milioni di sterline per aiutare i più giovani a recuperare il tempo perduto con attività di tutoraggio.

Entro la fine di marzo, inoltre, i cittadini britannici potranno tornare a socializzare in gruppi ristretti all’aperto, mentre da metà aprile riapriranno i negozi e potrà riprendere anche l’attività individuale nelle palestre. I ristoranti e i bar non riapriranno comunque prima del 17 maggio, così come i grandi eventi all’aperto, che non potranno tenersi prima di allora. Le discoteche invece apriranno i battenti soltanto verso la fine di giugno.

Johnson ha detto chiaramente che vuole che l’attuale lockdown sia l’ultimo per il Paese, ma ha aggiunto che i piani del Governo saranno guidati non dalle «date» ma dai dati scientifici. Eppure, in un tweet, Johnson ha nuovamente scandito le scadenza temporali entro cui la campagna vaccinale “parziale” dovrà concludersi: entro il 15 aprile tutti gli adulti dai 50 anni in su riceveranno la prima dose di uno dei vaccini anti-Covid approvati finora. Il resto del Paese invece riceverà una dose di vaccino entro la fine di luglio. Sempre che il Regno Unito riesca a sostenere il ritmo di vaccinazione che ha mantenuto finora, con picchi di 600 mila somministrazioni al giorno.

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