Nuovi sviluppi riguardo ai dubbi sollevati in merito alle mascherine Ffp2 di produzione cinese con il marchio CE 2163 rilasciato dalla società turca Universal certification. I test ottenuti da una società italiana, che hanno rilevato il mancato rispetto degli standard di sicurezza richiesti per fronteggiare l’emergenza Covid-19, hanno acceso l’interesse dell’Olaf, l’Antifrode dell’Unione europea.
La società turca, come rivela oggi il Corriere, era già sotto la lente di ingrandimento dall’Antifrode europea a seguito di una denuncia riguardo alcune anomalie contestate in Germania. Come spiegato ieri a Open, la Universal Certification certifica un numero elevato di prodotti rispetto alla concorrenza arrivando a subappaltare i test, legalmente, a laboratori situati anche in Cina.
Considerata la situazione emergenziale e la necessità di garantire la sicurezza dei cittadini europei, l’Antifrode europea è intenzionata ad acquisire i test effettuati dalla società italiana sulle mascherine Ffp2 provenienti dalla Cina e certificate con il marchio CE 2163 che, a detta degli ex collaboratori italiani dalla società turca contattati da Open, è particolarmente soggetto a contraffazioni.
I modelli di mascherine Ffp2 cinesi certificate CE 2163 presenti sul mercato europeo sono circa una sessantina, mentre quelli analizzati in laboratori spagnoli e cinesi per conto della società italiana sono appena una ventina. Sarà compito dell’Antifrode verificare le responsabilità delle aziende produttrici cinesi e/o della società di certificazione con sede a Instanbul.
Il problema legato ai prodotti provenienti dalla Cina non è affatto una novità. Altre analisi erano state effettuate di recente dai laboratori spagnoli, con risultati che avevano portato al maxi sequestro a fine febbraio di 6 milioni di mascherine Ffp2 e Ffp3 cinesi. I prodotti, sotto custodia del Nas, venivano distribuiti come certificati CE e seguendo gli standard En 149:2001+A1:2009, ma erano di fatto contraffatti.
Varie sono le responsabilità attribuite a questo fenomeno, derivante probabilmente anche da un mancato controllo a tappeto di fronte all’emergenza in atto. Le inchieste sulle mascherine colpiscono anche l’ex commissario Domenico Arcuri, il quale si era visto costretto a rescindere diversi contratti con le società fornitrici di prodotti contraffatti provenienti proprio dalla Cina.
Per Arcuri i guai non finiscono qui. Un altro maxi sequestro, effettuato dalla Guardia di finanza nel Lazio per circa 5 milioni di mascherine non certificate, ha portato all’arresto di tre persone. Uno degli indagati sostiene di aver parlato proprio con l’ex commissario all’emergenza Covid.
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