Covid, 5 milioni di mascherine «non certificate» per il Lazio: tre arresti. Un indagato: «Ho parlato con Arcuri» – L’ordinanza del tribunale

L’ex commissario straordinario non risulta indagato. Sequestrati 22 milioni di euro alla società fornitrice che ha venduto Dpi senza le certificazioni richieste

Hanno fornito mascherine e camici non certificati, spacciandoli per regolari alla Protezione civile del Lazio durante i primi mesi dell’emergenza di Coronavirus, con guadagni milionari. Adesso sono agli arresti domiciliari al seguito di un’operazione della Guardia di finanza nell’ambito dell’inchiesta della procura di Roma sulle mascherine «non certificate». Tre persone sono finite agli arresti domiciliari, a vario titolo, per frode nelle pubbliche forniture e truffa aggravata in relazione alla fornitura di 5 milioni di mascherine e 430 mila camici alla Protezione civile del Lazio. Si tratta di Andelko Aleksic, Vittorio Farina, imprenditore già attivo nel settore dell’editoria, e Domenico Romeo. Aleksic e Farina sono indagati anche per traffico di influenze illecite. È stato disposto un sequestro preventivo di quasi 22 milioni di euro. Nel giustificare gli arresti cautelari il gip scrive che «sussiste il concreto pericolo di reiterazione del reato», essendo ancora in corso l’emergenza sanitaria e essendo ancora in atto «una intensa attività di procacciamento di nuovi contratti di fornitura».


«Domenico mi ha promesso che autorizza quell’acquisto»

Nell’inchiesta si fa anche il nome dell’ex super commissario Domenico Arcuri, licenziato dal governo Draghi il 1° marzo. Arcuri attualmente non risulta indagato nel procedimento. Sarebbe invece oggetto del traffico di influenze illecite. Stando a quanto scrive il gip di Roma Francesca Ciranna, nell’interloquire con Aleksic, Vittorio Farina avrebbe «mostrato la sua soddisfazione nell’aver ottenuto la promessa, verosimilmente dal commissario per l’emergenza Covid, di inserire la Ent tlc Srl, quale fornitore sussidiario rispetto a Luxottica Spa e Fca spa per l’approvvigionamento di un ingente quantità di mascherine chirurgiche da destinare alle scuole».


Nel corso di una telefonata con Massimo Cristofori, che gli suggeriva di infilarsi nel business delle scrivanie («hai sentito questa storia delle scrivanie? […] tre milioni di scrivanie, a prezzo medio di 50 euro…» dichiara Cristofori), Farina avrebbe giurato di aver parlato con Arcuri per aver inserito le Ent Tlc quale fornitore sussidiario a Fiat e Luxottica. In un’altra conversazione, Farina racconta di un incontro con l’ex commissario: «Domenico mi ha promesso che se gli arriva la lettera, autorizza quell’acquisto (…) la dovrebbe fare oggi – avrebbe dichiarato -, oggi la deve fare e oggi pomeriggio ci deve fare l’ordine».

Farina e Arcuri si sarebbero incontrati in occasione di un viaggio a Roma del primo il 3 settembre 2020. In quanto procacciatore di affari per conto della Ent Srl, Farina vanta rapporti con diversi personaggi noti, tra cui Roberto De Santis, l’ex senatore Saverio Romano, «soggetti per il tramite dei quali riesce ad avere contatti con pubblici amministratori che in questo periodo si occupano delle forniture pubbliche di dispositivi medici e di protezione individuale», scrive il gip. L’incontro sembra aver dato i suoi frutti perché dopo poco più di un’ora Farini chiama Marco Ottino, avvocato della Federfarma, rappresntandogli di avere «una promessa dal Commissario unico, dal Commissario straordinario».

ANSA | Un fermo immagine tratto da un video della guardia di finanza di Roma, 3 marzo 2021

Gli appalti e i Dpi venduti senza i certificati di idoneità

Gli imputati sono accusati di aver commesso frode nel contratto di pubblica fornitura in relazione a due gare. La prima risale al 17 marzo 2020 e riguarda la fornitura di 5 milioni di mascherine di tipo FFP2 per un valore complessivo di oltre 17 milioni di euro per le quali avevano fornito mascherine prodotte da fornitori cinesi (Hubei Zohngbao e Zhuhai Health) non classificabili in quali DPI. Al momento dello sdoganamento avevano mostrato un certificato di “compliance” non accreditata, omettendo inoltre di riferire al committente che il prodotto non aveva superato la necessaria procedura di validazione presso l’Inail. Nel secondo caso invece una settimana dopo avevano fornito circa 430 mila camici per un importo di oltre 5 milioni di euro che erano sprovvisti delle certificazioni richieste.

Stando a quanto scrive il Gip era Romeo a procurare e fornire false certificazioni CE. «In particolare – si legge nell’ordinanza – dopo aver ottenuto il pagamento del corrispettivo per l’intera fornitura di mascherine e del 50% di quella dei camici, ponevano in essere artifizi e raggiri per documentare l’esistenza della certificazione CE dei prodotti», utilizzando per le mascherine un certificato rilasciato da una società con sede in Finlandia relativa a un altro modello prodotto dallo stesso fornitore cinese mentre per i camici direttamente un certificato di conformità contraffatto. Così facendo, «inducevano all’errore l’Agenzia Regionale della Protezione Civile per il Lazio», portando a casa tramite la frode, una cifra significativa.

Il gip: «Hanno agito in modo spregiudicato»

Le conclusioni del gip sono eloquenti. «Gli indagati hanno agito con grande spregiudicatezza. Romeo ha fornito (e sembrerebbe tuttora fornire) certificati di conformità falsi, Aleksic ha dimostrato di essere consapevole della falsità dei certificati, Farini è il “faccendiere” colui che ha tenuto i contatti con soggetti vicini alla struttura commissariale, al fine di ottenere agevolmente la conclusione di forniture vantaggiose per la società». Farini sarebbe «tuttora alla ricerca di rapporto privilegiati con pubblici ufficiali coinvolti nel settore degli affidamenti pubblici». E ancora: «Le condotte tenute sono gravi a maggior ragione se contestualizzate nel momento di emergenza sanitaria in cui sono avvenute. Sfruttando le opportunità fornite dalla legislazione emergenziale adottata, approfittando del momento di estrema difficoltà in cui versava il Paese che stava affrontando una epidemia incontrollata, gli indagati non hanno esitato a cercare di lucrare, acquisire facili guadagni favoriti dalla sostanziale impossibilità di controllo da parte del committente sulla qualità della merce che veniva fornita come dispositivo di protezione».

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