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International Women’s Week, la frontiera spagnola dei diritti civili. Cambrollé: «Cambiamo la legge sull’identità transgender»

12 Marzo 2021 - 07:19 Angela Gennaro
7 storie di donne provenienti da diversi Paesi europei per raccontare gli ostacoli e le sfide di chi donna ci è nata o ci è diventata. Il progetto di Open continua in Spagna con la testimonianza dell’attivista in prima linea per la Ley Trans, che renderà possibile cambiare sesso all'anagrafe senza referto medico

Mar Cambrollé ha gli occhi che sorridono, una gestualità vivace e uno sguardo fatto di certezze: quella di esistere, essere e lottare, mentre scaglia contro il cielo il suo pugno chiuso. «Non stiamo parlando di privilegi, stiamo parlando degli stessi diritti che avete voi». Il diritto all’identità. Semplicemente. Da mercoledì 10 marzo è in sciopero della fame a tempo indeterminato insieme a una settantina di altre attiviste e attivisti. Chiedono che alla Camera Bassa spagnola venga finalmente registrata la cosiddetta Ley Trans: una legge che prevede che chi ha più di 16 anni possa cambiare sesso all’anagrafe senza la necessità di un referto medico (come invece accade ora).

EPA/Zipi | La protesta e l’annuncio dello sciopero della fame fuori dalla Camera Bassa del parlamento, a Madrid, Spagna, 10 marzo 2021

La Ley trans

Un traguardo nei diritti civili e umani, 16 anni dopo quello del matrimonio tra persone dello stesso sesso (allora la Spagna era stato il terzo paese al mondo a normarlo) e per cui Mar, attivista transgender e fondatrice della prima Federazione dei Collettivi Trans nello stato spagnolo (Federación Plataforma Trans), si batte da più di 40 anni. Attualmente, una legge del 2007 prevede che per cambiare identità sul DNI – il Documento Nacional de Identidad, ovvero il corrispettivo della nostra carta d’identità – dai 18 anni in su servono almeno due anni di trattamento ormonale e una diagnosi medica o psicologica che certifichi la “disforia di genere” – e cioè la condizione di sofferenza indotta dal fatto che il genere e quello assegnato alla nascita in base al sesso non coincidono.

Prima di allora, dal 2001, serviva l’operazione chirurgica ai genitali. «Una sterilizzazione forzata per cui Paesi come Svezia e Danimarca hanno chiesto scusa in passato», dice Mar. Con la nuova legge, basterebbe un’autocertificazione: «Così finalmente, attraverso la depatologizzazione, si garantirebbe l’autodeterminazione del proprio genere». Accade già in Argentina e in altri sei paesi europei in questo momento – Irlanda, Danimarca, Lussemburgo, Belgio, Portogallo, Malta.

EPA/Zipi | Mar Cambrollé parla con la stampa fuori dalla Camera Bassa del parlamento, a Madrid, Spagna, 10 marzo 2021

Sebbene nel programma del governo guidato da Pedro Sanchez, in carica da gennaio, sia previsto nero su bianco un pacchetto di leggi per l’uguaglianza delle persone Lgbtqi+, ora la Ley Trans diventa occasione di tensione tra Partito socialista e Unidas Podemos e di scontro tra la ministra alle Pari Opportunità, Irene Montero, di Podemos, e la vice prima ministra Carmen Calvo, socialista, secondo cui consentire la libertà di scegliere il proprio genere registrato senza una diagnosi minerebbe i diritti di altre persone, donne in testa.

«È incomprensibile come il Partito Socialista proponga gli stessi argomenti dei settori ultra-cattolici o dell’ultra-destra», attacca Mar Cambrollé. L’ostruzionismo di Calvo è appoggiato anche da un certo femminismo, numericamente limitato e visto da più parti come transfobico. Il disegno di legge peraltro un testo di pochi anni fa dello stesso Psoe. In maniera “strumentale”, per Cambrollé.

«Nel riconoscere diritti di chi non li ha non li si toglie a nessuno e nessuna», dice ancora l’attivista. «Per me quello non è femminismo: il movimento maggioritario ha scritto un Manifesto femminista a favore della legge trans, firmato da più di 11 mila donne attiviste femministe e 600 organizzazioni. In Spagna ci sono 48 milioni di persone, 24 milioni sono donne. Noi trans siamo 75 mila: come possono 75 mila persone “cancellarne” 48 milioni?».

Il movimento trans chiede ora «una legge completa e trasversale, che risponda a tutte le situazioni in cui le persone trans vengono trattate come cittadini e cittadine di serie B», dice Mar Cambrollé a Open. «Con politiche attive nell’occupazione, protocolli di educazione che rispettino l’identità, la prevenzione dalle molestie e un’assistenza sanitaria».

La storia di Mar

Nata a Siviglia con nome di uomo, Mar Cambrollè è attivista dal 1976, quando ha fondato la prima organizzazione in Andalusia, il Movimiento Homosexual de Acción Revolucionaria, a difesa del collettivo andaluso LGTB che ha indetto la prima manifestazione per la libertà sessuale in Andalusia il 25 giugno 1978. Ha promosso la legge trans andalusa, pioniera in Spagna e in Europa per la depatologizzazione delle identità trans e per il principio legale della libertà di autodeterminazione dell’identità e dell’espressione di genere. Era il 2014: da allora la legge è stata replicata in 11 comunità autonome – tra cui Catalogna, Valencia, Madrid, Aragona. «Ma ora serve la legge a livello statale», avverte.

Ha cambiato il proprio nome all’anagrafe nel 2007. «È stato molto difficile per me», racconta a Open. Mar ha vissuto per 37 anni come Francisco José. Semplicemente, non era lei. «Non ero io quando andavo in banca a ritirare dei soldi, i miei soldi. Non ero io quando andavo dal medico e mi dicevano che quel documento di identità non era il mio. «È mio», rispondevo. «Mi chiamo Francisco Jose».

Con la legge del 2007 in Spagna «non c’è più la chirurgia genitale, certo», spiega l’attivista. «Ma la terapia ormonale è una castrazione chimica. Lo Stato ti impone di scegliere tra due opzioni: la salute e l’identità legale». E la diagnosi di disforia di genere è «altamente discriminatoria perché presuppone che tutte le persone trans possano essere potenzialmente inferme di mente per il solo fatto di essere trans».

EPA/Zipi | La protesta e l’annuncio dello sciopero della fame fuori dalla Camera Bassa del parlamento, a Madrid, Spagna, 10 marzo 2021

Le discriminazioni

Non solo: «Noi persone trans subiamo anche un alto tasso di esclusione lavorativa e sanitaria », prosegue l’attivista. E rispetto alle persone gay, lesbiche e bisessuali, che «non hanno bisogno di cambiare nome», le persone trans, dice Mar Cambrollé, subiscono il 27% di aggressioni in più. «Ed è difficile per i ragazzi e le ragazze affrontare la discriminazione in spazi pubblici, ogni volta che devono mostrare un documento d’identità. Quello è un atto contro la mia intimità, contro il mio onore, contro la mia stessa immagine».

«È essenziale che le persone trans siano soggetti di legge e non oggetti di medicina», conclude Mar Cambrollé. «Penso che la legge passerà presto, grazie alla forza della nostra collettività. E le democrazie europee hanno ancora un debito nei confronti delle persone transgender: l’Europa del diritto esiste solo se non ci sono persone trattate come cittadini di serie B. Dico sempre che il XIX secolo è stato quello che ha segnato la fine della schiavitù dei neri, il XX quello dell’uguaglianza per le donne e i gay. E il XXI è il secolo delle persone trans».

Video di OPEN/Angela Gennaro | Illustrazione di Sonia Cucculelli

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