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Crisanti: «Bene Letta, ma non è il messia. Il Pd non cambierà se lascia i giovani a guardare gli adulti che fanno il gioco delle sedie» – L’intervista

13 Marzo 2021 - 18:46 Felice Florio
A 21 anni, è tra i più giovani delegati dell'assemblea Dem che domani nominerà Enrico Letta segretario del partito. «Le correnti? Giusto avere aree politiche diverse, ma non per portare avanti una guerra fratricida sulle pagine dei giornali»

Venerdì sera, 48 ore prima dell’assemblea che, senza dibattito, domenica 14 marzo nominerà Enrico Letta segretario del Partito democratico, 250 giovani Dem si sono riuniti su Zoom. L’obiettivo? Intavolare quella discussione non prevista nell’ordine del giorno dell’assemblea domenicale: interverrà, alle 9.30, la presidente del Pd Valentina Cuppi e alle 11.45 Enrico Letta. Stop. Perciò i giovani Dem si sono incontrati in videoconferenza e hanno abbozzato, dopo quattro ore di discussione, un documento per pretendere più spazio negli organi decisionali del Pd. Presenti al meeting anche il capodelegazione del Pd all’Europarlamento Brando Benifei, i deputati Carmelo Miceli e Lia Quartapelle, consiglieri e segretari regionali.

«Parlare di giovani e dare loro spazio non è giovanilismo, non vogliamo sembrare fighi e attrattivi: se il partito non pensa a formare nuove generazioni di dirigenti, chi prenderà le redini tra cinque anni, quando serviranno nuove figure?». A dirlo è Giovanni Crisanti, 21 anni, uno dei più giovani delegati all’assemblea nazionale del Pd, «voterò Enrico Letta», e che è intervenuto durante il dibattito online. È il presidente dell’Associata, un melting pot di associazioni giovanili attive a Roma e che fa da trait d’union tra i ragazzi, il Campidoglio e la Regione Lazio. Crisanti è iscritto al Pd dal 2017, ed è stato premiato con la nomina in assemblea nazionale dopo aver raccolto mille preferenze alle elezioni regionali del 2018, «con una campagna senza budget».

Crisanti, Nicola Zingaretti si è dimesso dalla segreteria anche a causa delle lotte fratricide tra le correnti interne al Pd. Ha fatto bene a lasciare?

«Zingaretti ha fatto di tutto per dirimere questo caos interno. Nel momento in cui ha visto che era impossibile risolvere tutte le beghe, si è dimesso per permettere di fare chiarezza. Sono felice di questo suo gesto perché è servito a far luce su un problema ingombrante nel Pd: non si può fare politica seriamente se la linea unitaria del partito è continuamente annientata dalla lotta correntizia. Si è rimasti impantanati in una condizione in cui fare politica interna voleva dire accontentare con il bilancino tutte le correnti. Questa non è democrazia interna, in democrazia conta il voto della maggioranza e poi tutti insieme ci si mette a inseguire lo stesso obiettivo. La democrazia delle correnti, invece, è la spartizione di pezzetti di potere».

Quindi è dalle correnti di partito che nascono tutti i mali dei Dem?

«Non ho detto questo, ma molti problemi sì. Attenzione: io non sono per l’abolizione delle correnti, ma queste devono essere delle aree politiche che portano idee nell’ottica del pluralismo, non delle bande che litigano attraverso interviste e dichiarazioni sui giornali con il solo fine di spartirsi le poltrone. Puntualmente le correnti, invece, non fanno altro che fagocitare la segreteria di turno. Questo perché anziché discutere internamente sui temi, i rappresentanti delle correnti inscenano una guerra sulla stampa per preservare o conquistare una fetta di potere».

Con Letta pensa che ci sarà un superamento di questa situazione?

«Enrico Letta è una figura valida, con una visione chiara della politica. Ma non basta una singola persona per rilanciare il Pd. Deve essere attento ad affiancarsi una segreteria composta da persone competenti, generalmente volti nuovi e che remi nella stessa direzione: riformare il partito. La battaglia per la difesa del proprio potere che portano avanti le correnti, Letta non è in grado di vincerla da solo. Ci vuole l’unione di tutti quelli che vogliono rinnovare il partito. Letta non è il messia, ha bisogno di una squadra capace. Zingaretti non ce l’ha fatta a rilanciare il partito proprio per l’assenza di una squadra coesa. Poi, è essenziale per il rinnovamento del Partito democratico che la segreteria nazionale abbia una quota cospicua di giovani».

Sembra puro giovanilismo.

«E invece no: non è per fare i fighi o essere attrattivi. I giovani devono occupare i posti decisionali perché hanno una sensibilità diversa rispetto agli adulti, hanno più propensione ad affrontare temi come il digitale, per fare un esempio. Devono occupare i posti che storicamente sono occupati soltanto dagli anziani, devono stare negli organi che decidono la linea politica del partito se si vuole dare un futuro al partito stesso. Anche per una ragione pratica: se non formi nuove generazioni, chi guiderà il partito tra cinque anni, quando sarà necessario individuare nuove figure apicali? Invece, adesso ci relegano in posizioni secondarie, a guardare gli adulti che fanno il gioco delle sedie».

Forse i giovani di cui parla non sono ancora pronti per occupare posti negli organi decisionali del Pd?

«Non è vero, credo che serva una selezione accurata di coloro che sono ritenuti dal segretario davvero di valore per le esperienze fatte sul territorio di cui sono promotori».

Allora faccia qualche proposta al prossimo segretario del Pd.

«Ce ne sono moltissimi di profili di grande valore nel campo del centrosinistra. Penso a Federico Lobuono della Giovane Roma, Valerio Carocci del Cinema America, Silvia De Dea e Alberto Bortolotti del Pd di Milano, Olimpia Troili, presidente di Alternativa Europea. Ma sono solo esempi, perché di giovani più capaci di alcuni adulti di avere un ruolo nella segreteria ce ne sono tanti».

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