Il caso AstraZeneca fa tremare il piano vaccini: hub chiusi e richiami sospesi. A rischio 40 milioni di dosi, l’alternativa è potenziare Pfizer e J&J

3 milioni i di dosi entro marzo e 40 milioni da consegnare entro settembre. L’impegno dell’azienda anglo-svedese nei confronti dell’Italia ha la stessa scadenza prevista dal governo per l’immunità di gregge

A neanche quattro giorni dall’annuncio del grande piano vaccinale anti Covid del generale Figliuolo, l’Italia si trova di nuovo a lottare con un rallentamento che, in potenza, potrebbe rivelarsi anche peggiore degli altri. Il vaccino di AstraZeneca è stato sospeso in tutto il Paese. «In via precauzionale» certo ed è bene ribadirlo. Ma fatto sta che a distanza di poche ore dall’annuncio del governo, l’obiettivo di arrivare all’immunità di gregge entro settembre, con l’80% degli italiani vaccinati, potrebbe già non essere più realizzabile. Dall’azienda anglo-svedese si aspettano 40 milioni di dosi entro settembre, esattamente il periodo di riferimento dato dal generale Figliuolo per il raggiungimento dell’immunità.


Da qui fino alla fine di marzo dovrebbero arrivare 3 milioni di dosi, con l’incognita di poter essere effettivamente utilizzate oppure no. Se le disposizioni dell’ente regolatore europeo attese per la giornata di giovedì dovessero confermare il divieto, le dosi di vaccino di Oxford rimarrebbero nei frigoriferi, lasciando il piano nella mani degli appena 2 milioni di fornitura in arrivo rispettivamente da Moderna e da Pfizer. Senza contare quei lotti che in frigorifero ci sono già da un po’. È del 58,6% la quota delle dosi di vaccino AstraZeneca che restano ancora da somministrare in Italia sul totale di quelle consegnate finora. Con 1,1 milioni di iniezioni ancora non eseguite.


La speranza è che Ema si pronunci a favore di una repentina ripresa delle somministrazioni del farmaco e che la catena di divieti innescatasi ieri in Europa possa spezzarsi in un clima di fiducia collettiva riacquistata. E proprio il tema della fiducia sarà uno dei nodi più difficili da sciogliere sul campo pratico. Il panico scatenatosi dopo i sospetti su una possibile correlazione, finora sempre smentita dalle autorità competenti, tra il vaccino di Oxford e alcuni casi di decessi avvenuti, ha portato migliaia di persone a disdire gli appuntamenti per la somministrazione. Ora le prenotazioni sono ferme per decisione di Aifa, ma quello che dovrà essere evitato è l’impatto psicologico di un divieto che, anche dopo un eventuale via libera di Ema, potrebbe continuare a spaventare e non poco.

Le prime conseguenze, hub chiusi e richiami saltati

Scartata l’ipotesi di dirottare verso Pfizer e Moderna chi si è già prenotato per AstraZeneca, perché dosi riservate alle categorie più fragili di over 80 e sanitari, le prenotazioni per docenti e forze armate sono allo stallo. Ancora più confusa la situazione per chi, avendo ricevuto la prima dose, avrebbe dovuto sottoporsi già dalle prime ore di questa mattina alla somministrazione del richiamo. Le Asl stanno facendo non poca fatica con le disdette mentre i timori di chi ha ricevuto l’ormai famoso lotto “sospetto”, sequestrato dalla Procura di Biella, non fanno che aumentare.

I più grandi centri vaccinali d’Italia messi in piedi da poco sono stati costretti a fermarsi: dal centro di Fiumicino, pochi giorni fa visitato dallo stesso premier Draghi, a quello della Nuvola, il centro congressi dell’Eur adibito a luogo per le somministrazioni. Ancora più emblematica la falsa partenza del primo drive-through vaccinale della Difesa. Inaugurato appena 24 ore fa al Parco Trenno di Milano, oggi ha subìto l’inaspettato stop. Solo in Lombardia si contano già 33.500 appuntamenti annullati.

Le alternative per limitare i danni

La strategia italiana ha sempre puntato molto su AstraZeneca, ordinando dall’azienda anglo-svedese gran parte parte della fornitura necessaria sin dai primi atti del piano vaccinale. L’abitudine di scommettere su un cavallo vincente sembra essere ancora la via preferenziale: ancora prima dei problemi di AstraZeneca, il generale Figliuolo aveva presentato come vaccino della svolta il preparato dell’azienda di Johnson & Johnson. 25 milioni di dosi promesse e una strategia che avrebbe funzionato grazie al primo monodose.

Alla luce degli ultimi fatti Jannsen, l’altro nome di J&J, rientrerebbe ancor di più nelle mire del commissario all’emergenza per ulteriori accordi. Anche in questo caso però le incognite non sono poche. Le prime forniture arriveranno dalla terza settimana di aprile in poi ed è difficile prevedere una maggiore velocità di produzione nell’immediato. Considerando anche le voci di possibili rallentamenti di produzione, trapelate e poi smentite dall’azienda, poche ore prima del via libera di Ema al candidato vaccino. Sullo sfondo ci sarebbe anche l’atteso Sputnik V.

Proprio nelle ultime ore il Fondo russo per gli investimenti ha fatto sapere che sono stati raggiunti accordi per avviare la produzione in Italia, Spagna, Francia e Germania. Mentre sarebbero in corso negoziati per aumentare anche la produzione nell’Unione europea, l’attesa più importante è per il verdetto di Ema, al momento ancora a lavoro sulla valutazione dei dati presentati dalla Russia.

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