Il video virale del gesto per chiedere aiuto contro le violenze domestiche: «Utile se si è in pericolo, ma serve soprattutto a far parlare del problema»

Ci sono dei pro e dei contro nel rendere virale un “segnale segreto” per denunciare un caso di violenza domestica, ne abbiamo parlato con l’autrice del video

Molte sono state le richieste di verifica, giunte al numero +393518091911 dedicato per le segnalazioni degli utenti alla sezione Fact-Checking di Open, per il video del gesto con la mano per chiedere aiuto quando si subisce violenza domestica. L’iniziativa è vera, si chiama «Signal For Help» ed è stata ideata dalla Canadian Women’s Foundation per poi essere rilanciata in Italia da Giuditta Pasotto dell’associazione Gengle, ma lo scorso 19 luglio 2020.


Non abbiamo una spiegazione valida per comprendere come mai il video sia diventato virale nel 2021, anche se si può ipotizzare che il recente omicidio di Sarah Everard e il ritorno al lockdown con il rischio concreto di un aumento dei casi di violenza domestica abbiano riportato l’attenzione sul tema permettendo a qualcuno di arrivare al video di Giuditta. Ne abbiamo parlato per una buona mezz’ora proprio con lei, l’autrice del video, discutendo dei pro e dei contro dell’iniziativa.


Il gesto descritto nel video è semplice: basta piegare verso l’interno il pollice tenendo le altre quattro dita in alto per poi chiuderle. Ricorda un po’ l’iniziativa del 2016 del punto nero disegnato nel palmo della mano per chiedere aiuto in caso di violenza domestica, ma molto più discreto. Il punto nero, infatti, venne ritenuto rischioso in quanto visibile e riconoscibile anche dal carnefice nel caso venisse a conoscenza del gesto.

Anche il figlio di Giuditta, che aveva ripreso il video della madre, si era posto il problema di aver reso pubblico il gesto, mettendo i carnefici in condizione di riconoscerlo. Una possibilità concreta, soprattutto in un periodo storico dove passiamo più tempo a casa incollati al cellulare e sui social. Giuditta ne è consapevole, come è consapevole che quello dell’iniziativa non è una soluzione, ma potrebbe essere un gesto “disperato” che una vittima di violenza cercherebbe di fare in un momento dove non può parlare e avere il tempo di dire «ho bisogno di aiuto».

Per Giuditta, come per l’associazione che rappresenta, il gesto è un qualcosa in più per sensibilizzare e far parlare del problema: «Io spero vivamente che questo gesto serva più che altro a parlarne, a tutte le età. Mi ha fatto molto piacere ricevere screenshot di chat di ragazzini dove lo avevano condiviso. Secondo me queste azioni devono essere condivise e conosciute nella fase di prevenzione, non tanto dove c’è già un problema. Quando qualcuno riconosce il problema, e quando arriva il momento di essere pronti di denunciare, probabilmente una persona è anche in grado di andare dalla Polizia».

Alcune donne, vittime di violenza domestica, si sono rivolte a Giuditta in seguito alla diffusione del video, sentendosi chiamate in causa per parlarne e promuovere l’iniziativa. Non si sono sentite sole, hanno capito di non esserlo affatto, ed è forse questo il punto cruciale sul quale bisogna puntare: «Il fatto di sapere che condividere un messaggino, un video, ti fa rendere parte del miglioramento della società è uno strumento fortissimo, ti senti orgoglioso. Se qualcuno domani vede questa intervista e dice “Ah, io quel video lo avevo condiviso”, si sentirà utile, parte di qualcosa, e sarà pronto eventualmente a parlare, o a ricevere domande, nel momento in cui dirà a un amico o a un’amica “ma lo hai visto questo video?”. Se ne parla, questo per me è il successo maggiore che si può ottenere in un momento così delicato», conclude Giuditta.

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