Il mistero della doppia scadenza per il divieto di licenziamento: la norma non è quella presentata dal Ministero del lavoro

La prima versione “bollinata” della Relazione Illustrativa inviata ai giornali e agli operatori è stata cambiata

Non appena approvato il Decreto Sostegno abbiamo messo in luce un fatto abbastanza clamoroso: mentre il Ministero del lavoro aveva informato tutti i media sull’approvazione di una certa regola, dalle norme approvate dal Governo veniva fuori un sistema diverso da quello comunicato. In particolare, nelle slide illustrative preparate dal Ministero veniva annunciata una doppia scadenza per la fine del licenziamenti: una data riservata alle imprese che possono fruire della cassa integrazione ordinaria (30 giugno 2021) e una data riservata a tutte le altre imprese (31 ottobre 2021).


Questa regola, come si diceva, non si ritrova nell’art. 8 del DL 41 del 22 marzo 2021. Nella norma, infatti, si legge (art. 8 comma 9) che fino al prossimo 30 giugno è vietato a tutti i datori di i lavoro avviare e intimare licenziamenti individuali e collettivi (fatte salve le eccezioni limitate già previste dalla normativa precedente: cambi appalto, fallimenti senza esercizio provvisorio, chiusura definitiva attività, accordi sindacali). Lo spostamento al 31 ottobre di questa scadenza non vale, come dicevano le slide del Ministero, per tutte le aziende teoricamente titolari del FIS e della Cassa in deroga (gli ammortizzatori sociali spettabili alle imprese non industriali), ma solo per quei datori che, in concreto, chiedono e utilizzano questi trattamenti.


Una differenza importante, perché ci possono essere imprese – e ce ne sono molte – che pur avendo il teorico diritto a percepire la cassa in deroga, non hanno l’intenzione di chiederla e quindi, secondo il testo della norma, potrebbero uscire dal divieto di licenziamenti già il prossimo 30 giugno. Questa interpretazione era avvalorata da un elemento di un certo rilievo: la relazione illustrativa del Decreto ribadiva che lo spostamento al 31 ottobre valeva solo per le azienda che effettivamente fruivano degli ammortizzatori sopra ricordati. Un clamoroso contrasto tra il testo ufficiale e le slide ministeriali che ha stimolato qualche intrepida manina a intervenire, con un risultato abbastanza clamoroso: la prima versione “bollinata” della Relazione Illustrativa inviata ai giornali e agli operatori è stata cambiata.

In una seconda versione, quella che accompagna il testo del Decreto Legge portato all’esame delle Camere, è comparsa una precisazione non presente nella prima stesura: si spiega che lo spostamento del termine al 31 ottobre vale sia per le imprese che fanno un utilizzo effettivo di FIS e Cassa in Deroga, sia per i datori che non usano questi strumenti ma possono teoricamente farvi accesso. La “bollinatura” è il visto di conformità che appone la Ragioneria Generale dello Stato sui Decreti Legge e i testi esplicativi che li accompagnano per attestare che hanno copertura finanziaria e, in teoria, una volta apposta non si cambia. In questo caso, non c’è prova che la relazione illustrativa sia stata bollinata due volte, ma sicuramente per due giorni tutti i giornali e gli operatori hanno avuto in mano un testo annunciato come “bolinato” che è risultato diverso da quello presentato al Senato il 22 marzo.

I documenti a confronto.

Quale che sia il vero iter seguito dalla relazione illustrativa, si è aperto un grosso problema, perché l’interpretazione che viene fornita nei nuovi documenti accompagnatori del Decreto risulta diversa dal testo letterale presente nella norma. Ci troviamo cosi nell’incredibile situazione che la questione più importante dei prossimi mesi – come uscire dal divieto di licenziamento – è affidata non a un norma chiara e semplice, ma a una regola uscita probabilmente diversa dalle intenzioni di chi l’ha scritta, che viene riletta, corretta e reinterpretata mediante goffi interventi a colpi di slide e relazioni illustrative riscritte.

Come si può fondare un rapporto corretto con il cittadino e il sistema economico su queste basi? Per evitare che lo scontro interpretativo produca anche contenzioni infiniti, il Governo e la maggioranza che lo sostiene hanno una sola strada: se vogliono cambiare una regola che evidentemente è uscita fuori diversa da come si pensava, lascino stare le slide e le relazioni illustrative e la correggano in Parlamento. I cittadini e le imprese hanno il diritto di ottenere norme chiare e facili da applicare, piu che mai oggi che bisogna compiere scelte difficili per il futuro del lavoro.

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