Non è così facile licenziare un dipendente che non vuole vaccinarsi. Sosteniamo la scienza senza perdere la certezza del diritto

Perché non convince la posizione di Ichino e Guariniello e quali misure alternative al licenziamento si possono adottare

Si può licenziare il dipendente che rifiuta di farsi inoculare il vaccino anti Covid? Questa domanda infiamma da qualche giorno il dibattito tra gli esperti, soprattutto dopo che Pietro Ichino, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, ha preso una posizione molto netta in favore della licenziabilità del dipendente non vaccinato. Un dibattito che viene enfatizzato anche dall’utilizzo strumentale che rischia di essere fatto delle opinioni tecnico-giuridiche che vengono espresse sul tema.


A tale proposito, è bene sgomberare subito il campo da ogni equivoco: chi scrive questo pezzo è un convinto sostenitore della necessità che tutti aderiscano alla campagna vaccinale proposta dal nostro Governo (e dagli altri governi occidentali), ritenendo doveroso affidarsi alle valutazioni della scienza. Questa convinzione non deve, tuttavia, indurre a dare letture fuorvianti delle norme: come abbiamo già sostenuto su queste pagine, infatti, non è possibile licenziare un dipendente che rifiuta il vaccino anti Covid, nonostante l’opinione formulata dal Prof. Ichino. Vediamo in dettaglio per quali motivi siamo giunti a questa conclusione.


Senza una norma di legge che renda obbligatorio il vaccino, il datore di lavoro non può imporre nulla

Secondo il Prof. Ichino, nel caso in cui il lavoratore dovesse rifiutare la vaccinazione il datore di lavoro sarebbe obbligato ad imporne l’allontanamento temporaneo dal luogo di lavoro, arrivando a a licenziarlo se tale rifiuto dovesse mettere a rischio la salute di altre persone. Una posizione, seppure fondata su argomenti diversi, simile alle conclusioni cui era arrivato l’ex magistrato Raffaele Guariniello. Queste due letture hanno fatto molto rumore, per l’autorevolezza dei loro sostenitori e per l’impatto che avrebbe questo tipo di interpretazione, ma suscitano forti dubbi tra gli esperti. 

Dubbi che ruotano intorno a una questione che, in poche parole, si può riassumere in questo modo: come può il datore di lavoro “sanzionare” il dipendente per la mancata accettazione di un vaccino che non è obbligatorio per legge? Ci sono pochi dubbi sull’impossibilità di applicare una sanzione per una condotta (il rifiuto del vaccino) che, per quanto deprecabile sul piano sociale, non è vietata. Né si può pensare di ricavare l’obbligo di farsi somministrare il vaccino per via analogica o interpretativa: l’assunzione di qualsiasi sostanza per scopi medici non può essere imposta senza una specifica norma di legge, come prevede l’art. 32 della Costituzione (“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”). Legge che oggi ancora non esiste. 

Il “dovere di sicurezza” non è sufficiente a rendere obbligatorio il vaccino

Nell’intervista del Prof. Ichino l’obbligo di vaccinazione sembra ricavarsi, in via indiretta, dalla norma che impone al datore di lavoro di adottare specifiche misure per tutelare i lavoratori, l’art. 2087 del codice civile. É un riferimento molto forzato, perché quella norma non prevede, nemmeno indirettamente, un obbligo di vaccinazione del dipendente, rivolgendosi invece al datore di lavoro; tutt’al più, sulla base di questa disposizione si potrebbe arrivare a ritenere sussistente un obbligo per il datore di lavoro fosse di integrare il sistema di sicurezza, procurando la possibilità della vaccinazione. Ma non si potrà costruire l’ulteriore vincolo per il lavoratore, che potrebbe avere tanti e diversi motivi per rifiutare il vaccino (ragioni mediche, paura, convinzione personale, seppure sbagliata). 

Un obbligo legale non si può ritrovare nemmeno nella norma citata dal Dott. Guariniello, l’art. 279, comma 2 del d.lgs. n. 81/2008, che fissa l’obbligo per il datore di mettere a disposizione “(…) vaccini efficaci per  quei lavoratori  che  non  sono  già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione”. Tale disposizione fa riferimento al rischio biologico che nasce nell’ambiente di lavoro, caso diverso dall’epidemia da Covid 19, che ha un’origine e una diffusione di carattere generale (e come tale va considerato un rischio generico).

I Protocolli anti Covid non prevedono l’obbligo vaccinale

L’obbligo di farsi somministrare il vaccino non è previsto neanche dai Protocolli di sicurezza firmati dalle parti sociali (a partire da quello del 14 marzo 2020) per garantire la prosecuzione delle attività produttive durante l’emergenza sanitari.

Questi Protocolli sono stati resi vincolanti, in forma indiretta, dall’art. 29-bis del c.d. Decreto Liquidità, nella parte in cui prevede che:

i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste.

Questa norma sta a significare che il datore di lavoro applica l’art. 2087 mediante l’applicazione dei protocolli firmati tra le parti sociali: se in questi Protocolli non c’è traccia dell’obbligo per i datori di lavoro di somministrare il vaccino “anti-covid19” ai propri dipendenti, come si può pensare che sia sanzionabile un rifiuto del vaccino?

Il datore di lavoro non gestisce il vaccino

Un altro argomento forte che impedisce il licenziamento del dipendente refrattario al vaccino è l’impossibilità per il datore di lavoro di gestire tempi e modi della somministrazione (è tutto in mano all’autorità sanitaria), tanto che il lavoratore non è neanche tenuto a informare l’azienda di questo adempimento. Questa carenza informativa sarebbe superabile mediante un “sondaggio” tra il personale? Questo sondaggio su argomenti legati alla salute dei dipendenti sarebbe lecito? Abbiamo qualche dubbio.

Cosa può fare il datore di lavoro per gestire il dipendente “obiettore”: un percorso a ostacoli

Gli argomenti fin qui illustrati consentono di escludere che il datore di lavoro possa licenziare il dipendente che rifiuta il vaccino, nella normalità dei casi. Questo non vuol dire che il licenziamento sia da escludere sempre e comunque: ci possono essere casi specifici nei quali la misura è giustificata, almeno sul piano teorico. Si tratta di casi, tuttavia, estremamente limitati, nei quali il licenziamento sarebbe possibile solo in presenza di diverse condizioni: dovrebbe essere dimostrato, dal datore di lavoro, che la misura del vaccino, per via delle mansioni svolte, sia indispensabile per tutelare la salute anche negli ambienti di lavoro e dei colleghi.

Inoltre, si dovrebbe dimostrare che non vi siano misure alternative adeguate e ragionevolmente sufficienti a tutelare la salute (dispositivi di sicurezza, metodi di disinfezione, smart-working, ecc.); ma anche in caso di esito negativo di questa verifica, il datore di lavoro, prima di procedere al licenziamento, avrebbe l’onere di provare a ricollocare il dipendente su posizioni organizzative che presentino profili di rischio di contagio minori. Se mancano le condizioni prima descritte, e quindi il licenziamento è precluso, come può il datore di lavoro gestire i problemi derivanti dal dipendente non vaccinato?

Alcune misure le abbiamo ricordate: può gestire il dipendente cambiandogli le mansioni, ove possibile, oppure può collocarlo in smart working, se tale modalità di lavoro è compatibile con l’attività svolta. Come ultima opzione, il datore di lavoro potrebbe anche decidere collocare in aspettativa non retribuita il dipendente che non accetta il vaccino ma non può essere messo a contatto con il pubblico: tale misura si fonderebbe sulla situazione di temporanea inidoneità al lavoro del dipendente.

Come comportarsi in sede di colloquio

Un altro tema interessante riguarda la possibilità chiedere, al momento dei colloqui per la selezione di nuovo personale, la prova dell’avvenuta vaccinazione. Anche qui, ci sono forti dubbi sulla legittimità di tale approccio, tenuto conto che l’art. 8 St. Lav. dispone che “è fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso  dello  svolgimento  del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi (…) su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”. Questa rilevanza andrà vista caso per caso, in relazione alla mansione da svolgere. 

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