La variante indiana già circola in Italia, altri casi dal Veneto al focolaio tra i sikh a Latina tornati dall’India. Galli: «Non sappiamo ancora quanto sia più cattiva»

Il ministro Speranza ha firmato un’ordinanza per il blocco del traffico aereo con il Paese indiano, ma il focolaio in Lazio e i casi sospetti individuati in Veneto fanno temere che la mutazione sia già in circolo nel Paese

Il 10 aprile, le autorità sanitarie toscane sequenziano a Firenze una mutazione del Coronavirus: è la cosiddetta variante indiana, alla quale viene imputato l’exploit di contagi nel Paese asiatico. Due settimane dopo, il ministro della Salute Roberto Speranza firma l’ordinanza che blocca l’ingresso in Italia per chi è transitato in India negli ultimi 14 giorni. Un intervento che, però, non sembrerebbe sufficiente ad arginare la diffusione della variante nel nostro Paese: sia in Veneto, dove l’istituto Zooprofilattico delle Venezie è all’avanguardia con il sequenziamento del Sars-CoV-2, sia a Latina, dove è scoppiato un focolaio nella comunità sikh, la mutazione del virus pare aver preso piede.


Due casi accertati in Veneto, altri due sospetti

Due cittadini indiani residenti a Bassano, in provincia di Vicenza, sono rientrati dal Paese asiatico verso metà aprile. Sengalato all’Aulss Pedementana il loro viaggio, si sono messi subiti in isolamento domiciliare preventivo, seguendo le normative italiane. Hanno eseguito il tampone, sequenziato poi dallo Zooprofilattico con sede a Legnaro, nel Padovano. Ed è arrivata la conferma che i due avevano contratto la variante indiana. Al momento, i due pazienti sono in quarantena, in casa, con il resto del nucleo familiare. e presentano sintomi lievi. Ma non sono gli unici casi di mutazioni qualificanti, la L425R e la E484K, a preoccupare in Veneto.


Sotto valutazione la mutazione del virus presente in altre due persone residenti nel Veneziano. Occorrerà sequenziare tutto il genoma per capire se si tratta della variante indiana o di un’altra. In questo caso, lo studio epidemiologico sembrerebbe collegare l’infezione a un contatto con il Bangladesh. Intanto, i sanitari tessono le lodi per il comportamento dei due cittadini indiani di Bassano: «Va riconosciuto ai due di avere seguito in modo molto scrupoloso le regole – sottolinea il direttore generale dell’Ulss 7, Carlo Bramezza – e questo sicuramente ha consentito di ridurre la possibilità di un’ulteriore diffusione del virus in questa variante, ancora piuttosto rara in Italia».

Il focolaio di Latina

Nella provincia laziale, dilaga il contagio all’interno della comunità sikh, composta in buona parte da braccianti. Sono 262 i cittadini indiani e 36 i minori risultati positivi al Sars-CoV-2. Al momento, non si sa se le infezioni sono ascrivibili al virus mutato, ma il numero crescente di contagi preoccupa. «Ci sono stati diversi casi nella comunità che stiamo seguendo – ha dichiarato la direttrice dell’Asl Silvia Cavalli -. Abbiamo promosso diversi test nelle aziende agricole. La popolazione sikh ha aspetti peculiari di sovraffollamento abitativo che acutizzano la diffusione del virus». C’è l’ipotesi di individuare un albergo Covid per far svolgere quarantene controllate. Inoltre, non tutte le persone della comunità lavorano nei campi: alcuni di loro svolgono lavori domestici e di giardinaggio presso abitazioni private. Il rischio che i focolai superino le barriere della comunità sikh è elevato.

Galli: «Una delle due mutazioni della variante indiana è più fastidiosa»

«È probabile che le varianti brasiliana, sudafricana e nigeriana siano meno responsive agli anticorpi evocati dai vaccini disponibili e che sfuggano alla maggioranza degli anticorpi monoclonali disponibili in commercio. Non sappiamo ancora però, quanto la variante indiana, la E484Q, sia più diffusiva, virulenta e cattiva, anche perché ragioniamo in base alla situazione dell’India – ha detto Massimo Galli in un’intervista a iNews24 -. Un Paese che conta 1,366 miliardi di persone, tra cui tantissime in situazioni di indigenza, in un contesto di grande popolosità. Tutte connotazioni queste, che rendono difficile confrontare la diffusione e la letalità dell’India con l’Europa».

Il direttore delle Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano ha spiegato quali sono le prime evidenze riguardo alle varianti in circolazione, compresa quella indiana: «Nella variante inglese ci sono una quantità di mutazioni. Quella più importante è la N501Y, ed è quella attualmente dominante da noi. Fino a poco tempo fa abbiamo sostenuto che non fosse più cattiva della precedente, ma solo più diffusiva. Adesso invece, uno studio recente ha dimostrato un alto eccesso di mortalità. Ha una capacità di trasmissione dal 30 al 50% in più, coinvolge anche i bambini e i ragazzi. È più grave e mortale, soprattutto sugli anziani. La variante indiana appena scoperta ha due mutazioni qualificanti: la L425R e la E484Q. Nella seconda cambia l’amminoacido della E484K, che caratterizza la variante brasiliana, sudafricana e nigeriana, che provocano una serie di fastidi in più».

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