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Olimpiadi a rischio: il Giappone estende lo Stato di Emergenza fino al 20 giugno

28 Maggio 2021 - 14:29 Redazione
Intanto, secondo uno studio del New England Journal of Medicine, il comitato olimpico non sta considerando tutti i rischi legati allo svolgimento dei Giochi

A meno di due mesi dall’inizio dell’Olimpiade, il governo giapponese ha deciso di estendere lo stato di emergenza fino al 20 giugno. I Giochi, in partenza il 23 luglio, erano stati rimandati lo scorso anno a causa della pandemia. L’attuale provvedimento in vigore in 9 prefetture, tra cui la stessa capitale e la città di Osaka, sarebbe dovuto terminare il 31 maggio. «La curva delle infezioni è in calo in alcune aree ma a livello generale la situazione rimane imprevedibile», ha detto alla stampa il premier nipponico Yoshihide Suga. Oltre a Tokyo, dove il calo delle infezioni da Covid rimane «troppo contenuto» secondo le autorità sanitarie, le restrizioni riguarderanno altre 8 prefetture, dalla regione all’estremo nord dell’Hokkaido, all’isola di Okinawa a sud dell’arcipelago. Sebbene non si tratti di un vero e proprio lockdown, ai bar e ai ristoranti verrà chiesto di anticipare la chiusura alle 20 e a nessun locale sarà consentito di vendere alcolici dopo le 19. Il 20 giugno, il governo giapponese potrebbe inoltre prendere una decisione sul possibile accesso del pubblico locale alle gare dell’Olimpiade, dopo il divieto imposto agli spettatori stranieri. Intanto, rimane ancora alto il livello di disapprovazione dei Giochi tra l’opinione pubblica, con quasi il 60% degli intervistati nell’ultimo sondaggio dell’agenzia Kyodo contrari all’organizzazione dell’evento.

Lo studio

Proprio negli ultimi giorni, secondo l’articolo pubblicato dal New England Journal of Medicine, dal titolo «Protecting Olympic Participants from Covid-19 — The Urgent Need for a Risk-Management Approach», il Comitato Olimpico non starebbe considerato tutti i rischi legati allo svolgimento dei Giochi. Per gli autori dello studio i piani vaccinali non sarebbero a un punto tale da scongiurare ipotetico disastro derivante da una competizione di simile portata. Stando ai ricercatori, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) dovrebbe convocare d’urgenza un comitato formato da esperti di sicurezza e salute sul lavoro, similmente a quanto accadde nel 2016 con le Olimpiadi in Brasile durante l’emergenza sanitaria dovuta al virus Zika.

I vaccini non basteranno

L’evento avrebbe dovuto tenersi nel marzo 2020, quando il Giappone contava 865 casi attivi, mentre nel Mondo se ne contavano 385 mila. La decisione di rimandare l’evento venne motivata anche dall’idea (o forse la speranza) che nel 2021 ci si sarebbe trovati in una situazione più controllata. Dopo 14 mesi, i casi attivi sono saliti a 70 mila e il Giappone resta in stato di emergenza sanitaria. In tutto il Mondo i casi di infezione attiva sono saliti a circa 19 milioni. Intanto si è aggiunto anche il problema delle varianti Covid di maggiore preoccupazione (VOC), da cui il Paese non sembra essere stato dispensato, dovendo affrontare l’arrivo dei primi casi di brasiliana e di una presunta variante autoctona.

Anche se Pfizer-BioNTech si è offerta di coprire gli atleti olimpici col proprio vaccino, non vi è garanzia del fatto che tutti risultino vaccinati prima delle competizioni, considerando anche che andrebbe gestito il periodo tra prima e seconda dose. Non è scontato infatti che diversi atleti rifiutino il vaccino, non tanto perché convinti dalle tesi no-vax, quanto per le voci riguardo a un presunto calo di prestazioni dovuto alla vaccinazione. Non tutti, inoltre, sono maggiorenni: per come sono organizzate le campagne vaccinali nel mondo, molti potrebbero essere tagliati fuori dalle somministrazioni. Si legge nello studio:

Sebbene diversi paesi abbiano vaccinato i loro atleti, gli adolescenti tra i 15 ei 17 anni di età non possono essere vaccinati nella maggior parte dei Paesi e i bambini di età inferiore ai 15 anni possono essere vaccinati in un numero ancora inferiore di Paesi. Di conseguenza, pochi atleti adolescenti, inclusi ginnasti, nuotatori e subacquei di 12 anni, saranno vaccinati. In assenza di test regolari, i partecipanti possono essere infettati durante le Olimpiadi e rappresentare un rischio quando tornano a casa in più di 200 Paesi.

Misure preventive difficili da attuare

Tutto questo al momento sembra contrastare con il CIO (Comitato internazionale delle Olimpiadi), che sembra propenso a non rimandare ulteriormente le competizioni. Ma se tamponare entro 48 ore da un volo un turista può avere statisticamente senso, non è detto che lo abbia per la partecipazione a un evento che potrebbe comportare innumerevoli interazioni incontrollate tra persone. Le misure preventive che si dovrebbero adottare non sempre sono compatibili con le esigenze sportive – e di questo esistono già precedenti avvertimenti che il CIO non sembra aver considerato. Si legge ancora nell’articolo del New England Journal Of Medicine:

Allo stesso modo, il CIO non ha ascoltato le lezioni di altri grandi eventi sportivi. Molte leghe professionistiche con sede negli Stati Uniti, tra cui la National Football League (NFL), la National Basketball Association e la Women’s National Basketball Association, hanno condotto stagioni di successo, ma i loro protocolli erano rigorosi e informati da una comprensione della trasmissione per via aerea, diffusione asintomatica e la definizione di contatti stretti.

Una scarsa valutazione dei rischi

Similmente, secondo i ricercatori, la valutazione del rischio non sembra rigorosamente tenuto in considerazione dal CIO, alla luce delle conoscenze scientifiche a disposizione. Non solo dal punto di vista degli atleti, ma anche delle migliaia di persone che andrebbero ad assistere all’evento. Come scritto nello studio:

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie hanno entrambi riconosciuto l’importante ruolo dell’inalazione di particelle infettive nella trasmissione da persona a persona della SARS-CoV-2. Quando si pianifica un evento, il primo compito dovrebbe coinvolgere l’identificazione delle persone più a rischio di essere esposte e dei lavori, delle attività e dei luoghi per i quali l’esposizione sarà maggiore.

Foto di copertina: EPA/KIMIMASA MAYAMA

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