«Se Conte vuol fare politica, fondi un partito e vediamo quanti voti prende». nel suo editoriale su Il Fatto Quotidiano di oggi, 26 giugno, Marco Travaglio cita e parafrasa la famosa frase di Piero Fassino su Beppe Grillo per indicare la strada a Giuseppe Conte in caso di rottura con il MoVimento 5 Stelle. E in effetti mentre l’ex premier e il Garante litigano – e l’ex avvocato del Popolo medita di lasciare la guida del M5s 2.0 prima ancora di prenderla -, i sondaggi gli attribuiscono un gradimento-monstre con punte che sfiorano il 50%. Ma c’è un precedente storico che dovrebbe invece mettere in guardia Conte: quello di Mario Monti e della sua Scelta Civica, a cui le rilevazioni sulle intenzioni di voto attribuivano percentuali sontuose alle elezioni del 2013. Ma alle urne poi finì diversamente.
Il partito di Conte e quello di Monti
Oggi assistiamo a un paradosso tipico della politica italiana: pur non essendo formalmente a capo di nessun partito, Conte è il leader politico più apprezzato d’Italia. Anche nell’ultimo sondaggio Ipsos, che dimezza i voti del “suo” M5s rispetto alle politiche del 2018, l’ex presidente del Consiglio raggiunge un gradimento personale che sfiora il 50%, inferiore soltanto a quello di Mattarella e Draghi. Soltanto Giorgia Meloni (40%) e Roberto Speranza (38%) riescono a tenergli testa. Ma i numeri vanno letti in controluce. Perché, come ricorda il direttore scientifico di Ipsos Enzo Risso, tra la stima personale e il voto c’è di mezzo il mare delle urne: «L’ex premier prenderebbe un abbaglio se ritenesse che il gradimento verso di lui, indubbiamente alto, fosse la base di un partito come ad esempio En marche di Emmanuel Macron in Francia», spiega Risso.
Quella volta che Monti era in testa ai sondaggi, per poi perdere alle elezioni
C’è anche un precedente storico che dovrebbe mettere in guardia e spegnere gli entusiasmi di chi spinge Conte verso il “suo” partito: quello di Monti e di Scelta Civica. Nel 2013, quando era presidente del Consiglio, i sondaggi politici lo davano con il vento in poppa: la fiducia nei suoi confronti arrivava al 51%, gli italiani preferivano lui come nuovo-vecchio inquilino di Palazzo Chigi, anche se il Partito Democratico di Pier Luigi Bersani era in testa ai sondaggi e il suo partito era dato addirittura al 23% (ma lui puntava più in alto: al 25%). Come è andata a finire lo sappiamo: Scelta Civica portò a casa 2 milioni e 824 mila voti, pari all’8,3% dei consensi. Mentre il 25% dei consensi li portò a casa proprio quel M5s allora guidato da Beppe Grillo. Il partito di Monti affrontò successivamente scissioni e fughe (verso Pd e Forza Italia), mentre il leader, nel frattempo nominato senatore a vita, abbandonò la sua creatura a causa dei dissidi interni iscrivendosi al gruppo misto. Per Conte questa dovrebbe essere una vicenda da cui trarre insegnamento. Però si sa, la storia è maestra di vita, ma non ha scolari.
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