Eitan Biran, l’accusa: anche la nonna coinvolta nel rapimento. Ma lei: «La salute del bimbo è pessima»

Le indagini puntano sul ruolo di Esther Cohen, che si trovava in Italia con l’ex marito ed è partita il giorno prima della fuga di Shmuel. Intanto Eitan è ricoverato allo Sheba Medical Center

Esther Cohen, la nonna di Eitan Biran, era in Italia insieme a Shmuel Peleg e ha partecipato al presunto rapimento del bambino da parte del nonno. Lo ha detto in un’intervista alla radio israeliana 103 Fm Or Nirko, marito di Aya Biran, affidataria in Italia del piccolo sopravvissuto alla strage della funivia Stresa-Mottarone. Ma proprio Etty risponde alle accuse andando all’attacco «Le sue condizioni sono pessime – si è sfogata in un’intervista rilasciata alla stessa radio – e finalmente, dopo quattro mesi, i medici vedranno cosa gli è accaduto. In questo tempo non ha visto alcun medico a parte sua zia Aya in Italia, che però si occupa di detenuti. Per quattro mesi hanno impedito a me e a Shmuel di consultarci con medici e psicologi». E intanto all’orizzonte c’è anche un’altra figura che potrebbe essere coinvolta nella vicenda. Quella di un uomo che ha intervistato Eitan su richiesta dei nonni via Whatsapp o Zoom.


Le accuse incrociate tra le famiglie

Ieri la procura di Pavia ha formalmente indagato il nonno di Eitan per rapimento dopo la denuncia presentata da Aya. Nell’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Mario Venditti, si indaga anche su presunte complicità di altre persone nel blitz che ha portato al rapimento. L’uomo sarebbe arrivato in Israele col bambino su un volo privato probabilmente partito da Lugano in Svizzera. Ma soprattutto, la signora Biran ha presentato l’istanza per far scattare la Convenzione dell’Aja sui minori rapiti che sia l’Italia che Israele hanno firmato. A questo punto le strade legali per riportare il bambino in Italia sono due. La prima è quella di fare richiesta direttamente a Tel Aviv. La seconda è quella di passare per Roma. Dal 2001 in poi, fa sapere oggi Repubblica, ci sono stati 12 precedenti tra l’Italia e Israele: 8 riguardavano bambini che dal nostro Paese erano stati portati lì, mentre in quattro casi la strada era stata percorsa al contrario. Tre casi si sono chiusi con il rientro dei bambini deciso dalle autorità di Israele, gli altri hanno avuto esiti diversi, dal ritiro della domanda al tacito accordo tra le parti.


Intanto sulla salute fisica e mentale di Eitan cresce la preoccupazione. Il bambino è sotto osservazione allo Sheba Medical Center, come ha confermato la nonna materna Etty Peleg in una conversazione trasmessa dalla radio israeliana fm103. Nella quale la donna ha accusato la famiglia del padre di Eitan di aver lasciato il bambino abbandonato e senza cure. Sull’altro fronte i Biran hanno raccontato un episodio che ha riguardato Eitan durante uno degli incontri protetti con i nonni materni a luglio. Repubblica lo descrive come uno sconosciuto che spunta dallo schermo di un tablet per tempestarlo di domande. Eitan era seduto in macchina, il “mago dei baffi” – così si era fatto chiamare – era collegato da remoto. Dopo l’incontro il bambino era rientrato nella villetta di Rotta di Travacò in lacrime: «Ci raccontò che l’incontro in web cam con quel signore era stato pesante», dice il marito di Aya Or Nirko. «Eitan non sapeva chi fosse. Il colloquio durò due ore: WhatsApp o Zoom, non ricordo. Il bambino era sull’auto della nonna materna».

Chi è Shmuel Peleg

Intanto sotto la lente c’è la figura di Shmuel Peleg. Ingegnere elettronico di 58 anni, con una lunga carriera alle spalle nell’esercito israeliano nell’unità delle telecomunicazione. Dopo il congedo da tenente colonnello, una collaborazione con la compagnia di bandiera El Al; poi Mirs, Motorola e Hot Mobile. Dove si occupava di vendite e marketing. Per gestire la comunicazione sull’intera vicenda, la famiglia – a quanto risulta all’ANSA – ha messo in campo una società specializzata guidata da Ronen Tzur, uomo che in passato ha fatto politica per poi passare al marketing occupandosi di campagne mediatiche anche su casi scottanti. Dopo le denunce sue e di Etty ora Eitan – che non si sa se sia effettivamente ricoverato o meno in ospedale e che dovrebbe essere in quarantena in base alle norme israeliane – è affidato a specialisti sia dal punto di vista fisico sia di supporto psicologico.

Non c’è dubbio comunque che a prendersene cura nella vita di tutti i giorni sia, secondo le sue stesse parole, la nonna. «È il figlio di mia figlia Tal che lo ha avuto a 20 anni, è cresciuto a casa mia. Sono sua nonna, l’ho sempre seguito». E ci tiene a sottolineare che «Eitan non aveva legami con la famiglia di Aya», la zia in Italia. «Ora – ha concluso – sono io a curarmi di lui». In perfetta coerenza con quanto questa parte di famiglia in Israele ha sostenuto da quando lo scorso 11 agosto ha fatto esplodere il caso denunciando che Eitan era «in ostaggio» in Italia.

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