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La ‘ndrangheta voleva uccidere il figlio di Gratteri: «I clan temevano che diventasse ministro della Giustizia»

19 Settembre 2021 - 08:52 Redazione
I fatti risalgono al 2013: poi la nomina di Gratteri a ministro della Giustizia sfumò. Ma nel 2016 ci fu un secondo tentativo: alcuni individui si intrufolarono nello stabile in cui viveva il figlio del procuratore a Messina

La ‘ndrangheta della Locride voleva far fuori uno dei figli del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. Lo avevano deciso in carcere. Dovevano farlo sembrare un incidente stradale. Era il 2013. A riferirlo, adesso, è un nuovo collaboratore di giustizia, Antonio Cataldo, 57 anni, esponente dell’omonimo clan di Locri, come racconta il Corriere della Sera. Cataldo sta fornendo particolari interessanti ai pm, riempendo pagine di verbali. Mercoledì, tra l’altro, potrebbe essere sentito dai magistrati nell’udienza del maxiprocesso “Riscatto – Mille e una notte”. Nel gennaio 2016 anche un altro pentito, Maurizio Maviglia, aveva parlato di un tentativo di uccidere uno dei figli di Gratteri o comunque di sequestrarlo.

Le prime minacce

All’epoca dei fatti – era il 2016 – alcuni individui erano riusciti a intrufolarsi nello stabile dove abitava il figlio del procuratore, a Messina. Si erano qualificati come poliziotti. Il ragazzo, che era un giovane universitario, vedendoli arrivare in ascensore mascherati con il passamontagna, chiuse subito la porta, si barricò a casa e chiamò il padre. Così riuscì a mettersi al sicuro. L’idea di uccidere il figlio di Gratteri sarebbe nata – racconta Cataldo – all’interno del carcere, nel 2013, e se ne parlava moltissimo nelle ore d’aria. A lui glielo confidò Guido Brusaferri, esponente di spicco della cosca Cordì. «I clan si erano allarmato quando il nome di Gratteri era stato indicato come possibile ministro della Giustizia (nel governo Renzi, ndr). Per loro sarebbe stato un problema. I clan, tutti, temevano dei processi e delle leggi più ferree. C’era un allarme generale», ha raccontato. La nomina, però, sfumò.

Foto in copertina: ANSA/ALESSANDRO DI MEO

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