«Così stanno sabotando il referendum sulla cannabis», l’appello di Cappato a Draghi: perché migliaia di firme rischiano di saltare

Entro il 30 settembre, il Comitato promotore deve depositare le quasi 600mila firme raccolte in pochi giorni. I documenti necessari però non stanno arrivando con la stessa rapidità

I tempi della burocrazia rischiano di: «sabotare il referendum sulla coltivazione della cannabis legale». A lanciare l’allarme è Marco Cappato, membro del Comitato del referendum, che tira in ballo direttamente il governo Draghi perché intervenga con una proroga dei tempi, che a questo punto si sta rivelando indispensabile. Cappato lamenta che finora solo: «un quarto delle richieste di certificazione sono state evase nel termine delle 48 ore previste dalla legge». Quel che sta andando a rilento sarebbe la trasmissione da parte dei Comuni dei certificati di iscrizione nelle liste elettorali di tutti i sottoscrittori del referendum. Documenti che poi sarà il Comitato promotore a depositare presso la Corte di cassazione. Ma con questi tempi da parte dei Comuni e la scadenza imminente fissata al 30 settembre, il rischio è che non vengano prese in considerazione numerose firme raccolte online: «Così viene sabotato il referendum», dice Cappato che quindi spera in un rinvio della scadenza.


«Il governo Draghi ha nelle proprie mani la responsabilità delle uniche decisione in grado di evitare questo scempio: eliminare la discriminazione contro il referendum cannabis concedendo la proroga di un mese in ragione della pandemia – dice Cappato – oppure concedere ai Comuni di produrre i certificati elettorali anche dopo il termine della consegna delle firme, in modo che il Comitato promotore possa depositarli successivamente al 30 settembre». Un mancato intervento da parte del governo Draghi, secondo Cappato scaricherebbe la responsabilità sul fallimento del referendum sulle spalle del premier e i ministri competenti: «Se il presidente del Consiglio Draghi, la ministra degli Interni Lamorgese e la ministra della Giustizia decidessero invece di non intervenire, si assumerebbero la responsabilità del sabotaggio del referendum e della vanificazione delle norme che ne hanno autorizzato la sottoscrizione per via digitale». A quel punto, Il Comitato promotore potrebbe valutare anche un ricorso giudiziario per tentare l’ultima possibilità di non vedersi vanificata la prima raccolta firme online che ha superato la soglia minima delle 500 mila firme in una sola settimana.


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