Asia Lanzi, la prima skater italiana alle Olimpiadi: «Ho inziato a sei anni. È stato amore a prima vista» – Cronache dal FutureShots di H-FARM

19 anni, vissuta a Ferrara, Asia è una delle promesse italiane in questa disciplina appena sbarcata alle Olimpiadi. Chiusa l’esperienza di Tokyo 2020, ora Asia ha già nel bersaglio il prossimo obiettivo: la qualificazione per Parigi 2024

Dopo due giorni, decine di ospiti e migliaia partecipanti, il FutureShots Festival è finito. La prima edizione post Covid della rassegna organizzata al Campus di H-FARM si è chiusa con una giornata dedicata agli sport, sia quelli che si giocano con tutto il corpo che quelli in cui si può vincere muovendo le mani su tastiere e mouse. Tra gli atleti che sono passati dalla rassegna c’è stata anche Asia Lanzi. 19 anni, cresciuti a Ferrara, Asia è stata l’unica donna a rappresentare l’Italia nello skate durante le Olimpiadi di Tokyo 2020, le prime in assoluto per questa disciplina. Noi di Open l’abbiamo intervistata durante l’evento dal vivo per farci raccontare la sua storia. Qui sotto potete trovare un estratto di tutta l’intervista.


Ho letto nelle tue vecchie interviste che tutta la tua storia con lo skate è partita da una persona sola

«Mio padre».


È stato lui a portarti per la prima volta in uno skate park?

«Io ho iniziato con lo snowboard, quando avevo due anni. Il problema però è che abitavo in pianura, le montagne non erano vicine e d’estate non sapevo bene cosa fare. Così a sei anni mio padre mi ha portato allo skate park. È stato amore a prima vista. Mio padre andava sullo skate quando era più giovane ed è stato lui a insegnarmi le prime cose».

Ti ricordi il primo trick che hai fatto?

«Un holly. È il salto base. All’inizio impari a muoverti sulle strutture, a girarti e a spingerti sulla tavola. Già non è facile. Ci avrò messo sei mesi a imparare il primo salto. Ora non lo considero nemmeno una evoluzione».

E la prima caduta?

«Questa non me la ricordo nemmeno. Ne capitano ogni giorno. Succede sempre di prendersi una scavigliata o tirarsi lo skate sullo stinco. Recentemente mi sono rotta una mano mentre mi allenavo».

Sviluppi una soglia del dolore più alta o impari a cadere meglio?

«Impari soprattutto come cadere. Se stai facendo un salto o una manovra in alto, impari a rotolare per non farti male. Ma non è mai facile prevederlo».

Hai detto che da piccola eri l’unica ragazza dello skate park. Come ti sei trovata? È un ambiente competitivo?

«Mi sono sempre trovata benissimo. Anche quando ero l’unica ragazza sono sempre stata accolta bene».

La tua è ancora una disciplina poco diffusa. Come sei diventata professionista?

«Adesso ci sono le scuole di skate in quasi tutte le città d’Italia. Io avevo mio padre che sapeva fare qualcosa, ma l’ho superato quasi subito. La prima gara poi è stata solo una coincidenza.L’anno del terremoto in Emilia-Romagna abbiamo deciso di andare in vacanza in Toscana, a Lido di Camaiore. Per puro caso c’era una tappa del Campionato italiano di Skate. È un Campionato senza selezioni: tutti possono partecipare. Mi sono iscritta e sono arrivata terza. Ero l’unica ragazza e ho gareggiato con i maschi».

È stato lì che hai iniziato la carriera professionistica?

«Sì. Poi ho continuato a fare il campionato, sono arrivata prima a parimerito nel rank italiano e quindi ho cominciato a fare le gare all’estero, anche con altre ragazze. Mi sono sempre classificata nella Top 5. Quando è nata la Federazione Italiana mi hanno chiamata per fare parte della squadra. Da qui sono arrivate le Olimpiadi».

Come è stato qualificarsi alle Olimpiadi?

«Arrivare a Tokyo è stato molto complicato. Le qualifiche sono durate tre anni. Una gara era in Cina, poi è arrivato il Covid. Un’altra era in Australia, ed è arrivata la stagione degli incendi. Per fortuna quell’estate sono riuscita a fare almeno una maturità».

Il prossimo passo.

«Il mio obiettivo è Parigi 2024, alla fine ho 19 anni e di tempo ne ho. Ora voglio anche capire in base alle gare che ci saranno se iscrivermi in università. Devo vedere quanto mi tocca stare via. Vorrei entrate nel circuito della Street League e degli X Games, un trofeo che da sempre è conosciuto come le Olimpiadi degli sport estremi».

HFARM | L’evento curato da Open per il FutureShots Festival

Ora riesci a mettere insieme uno stipendio dallo skate?

«Adesso faccio la skater a tempo pieno, i miei guadagni sono per gli eventi a cui mi chiamano o i premi alle gare. Anche se vincere le gare non è sempre facile. Spero di trovare un modo, anche con gli sponsor, per arrivare a uno stipendio fisso».

Su tutte le tue tavole c’è un Iron Man disegnato sul grip.

«Sono un’appassionata Marvel e il mio idolo è Robert Downey Junior. É stato il mio portafortuna nelle ultime due gare che ho fatto».

Film preferito Marvel?

«Endgame. È stato l’apice di tutto il percorso».

Come ti alleni per le gare? Fai anche palestra o ti eserciti solo con la tavola?

«Andavo in palestra prima che arrivasse il Covid. La cosa migliore per questo sport è esercitarsi tanto negli skate park. La palestra ti può aiutare con gli esercizi per le gambe ma non impari i trick in palestra».

Lo skate non è solo uno sport. È anche una cultura, fatta di moda, segnali e musica. C’è il rischio che tutto questo sparisca se diventerà uno sport più diffuso?

«C’è una cultura dello skate perché lo skate è sempre stato un mondo a parte. Abbiamo i nostri brand, le nostre riviste, i nostri canali in cui ci scambiamo video e informazioni. Secondo me tutto questo non si perderà mai».

Il ricordo più bello che hai legato allo skate.

«Oddio è difficile. Ce ne sono davvero tanti. Quando ero piccola e skatavo con mio papà. Forse quello più bello è quando ho saputo di essermi qualificata per le Olimpiadi. L’ho detto alla mia famiglia, ai miei nonni. Mia mamma è scoppiata a piangere e quindi sono scoppiata a piangere anche io».

Il nostro racconto del Future Festival

Leggi anche: