Il Reddito di cittadinanza costa troppo, dal 2022 si cambia. Offerte di lavoro e corsi: come può calare l’assegno

I costi del sussidio sono esplosi con la pandemia e l’aumentare della famiglie in difficoltà economica. E poi c’è la platea di percettori occupabili, che non potrà più temporeggiare davanti a nuove offerte di lavoro e riqualificazioni professionali

Il Reddito di cittadinanza così com’è oggi è destinato a cambiare, se non altro perché i suoi costi sono lievitati da quando è nato nel 2019 ed esplosi con la pandemia di Coronavirus. Se tre anni fa lo Stato spendeva 433 milioni di euro al mese, ricorda Repubblica, l’anno successivo ha dovuto sborsare 595 milioni, fino a salire a 722 milioni quest’anno. I 200 milioni di rifinanziamento che hanno infiammato lo scontro nel governo tra chi come Lega e Italia Viva vorrebbe far sparire il sussidio, e Pd ed M5s che invece lo difendono, sono solo un rattoppo per arrivare a fine anno. A far sintesi ci ha pensato di Mario Draghi, che difende l’esistenza stessa del Reddito di cittadinanza, pur riconoscendone i limiti soprattutto sull’obiettivo di ridurre la disoccupazione. Nella prossima legge di Bilancio, il costo del Reddito di cittadinanza dovrebbe crescere ad almeno 800 milioni di euro, perché possano continuare a riceverlo circa 1,6 milioni di famiglie in difficoltà. Che serva rifinanziare ancora il Reddito lo dicono chiaramente i dati dell’Inps, che ha già calcolato un milione di poveri in più dopo la pandemia, per un totale di 2 milioni di famiglie, circa 5,6 milioni di italiani in forte difficoltà economica.


Gli squilibri

A fine ottobre è prevista la relazione finale della commissione guidata dalla sociologa Chiara Saraceno, che sta analizzando il Reddito di cittadinanza nei suoi meccanismi spesso inceppati. Dopo di che, il governo punta a una riforma che renda il sussidio più sostenibile per le casse dello Stato, e possibilmente più equo, visto che oggi, denunciano le associazioni del Terzo settore, le famiglie numerose e del Nord sono spesso penalizzate, rispetto a single e famiglie al Sud che ricevono sostanzialmente lo stesso assegno, a fronte di un costo della vita inevitabilmente diverso. La strategia del governo per una riforma drastica prevede che innanzitutto si distingua tra chi riceve il sussidio per esigenze economiche e chi invece per disoccupazione, come riporta il Messaggero.


Le offerte di lavoro

Il primo passo per ridurre i costi del Reddito per lo Stato sarà quello di complicarne l’accesso, oggi affidato all’autocertificazione verificata solo a campione, e soprattutto definire in modo più severo le condizioni per le quali il sussidio può essere perso. Nel mirino ci sono soprattutto i percettori del Reddito occupabili, circa un milione di persone, che finora hanno rischiato di perdere il sussidio dopo tre offerte di lavoro rifiutate. L’idea è di tagliare parte dell’assegno già al primo rifiuto, che non sarà più necessariamente per un lavoro da minimo tre mesi, ma potrà passare a due mesi. La Caritas ha evidenziato che circa tre quarti dei percettori del Reddito non è impiegabile per il mondo del lavoro. Oltre ai pensionati, c’è per esempio il 7 per cento che non ha la licenza elementare. Perciò la formazione, finanziata attraverso il progetto Gol finanziato dal Recovery plan, sarà centrale: chi rifiuterà anche di seguire dei corsi di riqualificazione proposti dai centri per l’impiego potrà perdere gradualmente una parte dell’assegno.

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