Pfizergate, la sperimentazione sul vaccino è stata falsata? Ecco cosa dice realmente il «British Medical Journal»
Che cos’è il Pfizergate? Tutto nasce da un articolo pubblicato dal British Medical Journal (BMJ), a firma del giornalista investigativo Paul D Thacker, dove vengono denunciate delle irregolarità durante la sperimentazione del vaccino anti Covid di Pfizer. La notizia ha attirato l’attenzione del mondo No Vax, scatenando sui social l’hashtag #Pfizergate. In questo articolo vi spieghiamo di che cosa si tratta e perché da un lato non dovremmo preoccuparci, mentre da un altro dovremmo fare attenzione per il futuro.
L’articolo si basa sulle dichiarazioni della ex revisore Brook Jackson della Ventavia Research Group, una società di ricerca tra quelle incaricate da Pfizer per la gestione dei trial clinici di fase 3. Non è l’unica, ce ne sono tante. Le irregolarità denunciate da Jackson riguardano la gestione interna di quella specifica società, operante su circa mille partecipanti del trial su un totale di oltre 40 mila. Un numero insufficiente per falsare l’intera sperimentazione del vaccino Pfizer.
Problemi di igiene e di sicurezza interna
Brook Jackson ha fornito diverso materiale fotografico al BMJ per sostenere le sue accuse. Alcune di queste mostrerebbero gli aghi utilizzati per le iniezioni gettati n un comune sacchetto di plastica anziché nell’apposito contenitore biologico, utile a proteggere chiunque rischiasse di entrarci in contatto. Nell’email inviata alla FDA, Brook Jackson aveva segnalato che a seguito dell’iniezione, i partecipanti venivano collocati in un corridoio privi di un monitoraggio da parte del personale clinico.
Non solo, secondo Jackson i vaccini non venivano conservati adeguatamente con le temperature previste dall’azienda produttrice. Se il vaccino fosse stato compromesso e il suo contenuto fosse stato deteriorato da questa mancanza, l’efficacia del prodotto nei soggetti realmente vaccinati poteva risultare peggiore rispetto a quello riscontrato altrove.
Il rischio di “smascheramento” dei partecipanti
In che modo la società avrebbe messo a rischio l’identificazione dei partecipanti al trial clinico di fase 3? Nelle foto fornite al BMJ, Jackson mostrerebbe delle confezioni dove risulterebbero presenti i numeri identificativi dei partecipanti che potevano mettere a rischio la loro identità. Jackson, tuttavia, non dichiara che questo sia realmente accaduto, tanto che lo stesso BMJ afferma che ci sarebbe stata «un’azione correttiva» da parte dell’azienda per risolvere la falla.
I ritardi nella gestione dei dati
L’organizzazione di ricerca ICON, che collaborava con Pfizer durante la sperimentazione, si aspettava che Ventavia rispondesse ai vari “ticket” entro 24 ore. Di che cosa si tratta? Nell’articolo del BMJ si fa riferimento a oltre 100 segnalazioni non evase e che rimanevano in sospeso per ben 3 giorni, tra queste quelle di due individui che avrebbero riscontrato reazioni o sintomi da monitorare. Infatti, secondo il protocollo della sperimentazione, questi partecipanti dovevano essere immediatamente contattati e in caso visitati in loco.
Nell’articolo del BMJ viene citata la preoccupazione da parte di Ventavia di un’ispezione da parte della FDA, riportando che un dirigente (ignoto) avrebbe consigliato di modificare i dati per non far notare i ritardi. In nessuna parte dell’articolo del BMJ si afferma o si riportano le prove che vi sia stata una effettiva falsificazione dei dati.
Ventavia sapeva
Brook Jackson aveva segnalato internamente le irregolarità, contestando l’impiego di vaccinatori non adeguatamente formati e l’aver messo a rischio l’identità dei partecipanti allo studio che avevano ricevuto il vaccino o il placebo. Non solo, secondo il revisore la società non avrebbe monitorato a dovere le eventuali positività al Sars-Cov-2 dei partecipanti in sua gestione.
La società era al corrente delle contestazioni mosse internamente da Brook Jackson, ma quest’ultimo aveva poi deciso di inviare un reclamo via email alla FDA con le irregolarità riscontrate. Per questo motivo è stata licenziata, lo stesso giorno, dalla Ventavia Research Group.
La FDA sapeva
La FDA non solo era stata avvisata, ma aveva risposto all’email inviata da Brook Jackson. Secondo quanto riportato dall’articolo del BMJ, un ispettore dell’agenzia lo aveva contattato per discutere della segnalazione. A seguito del suo licenziamento, Jackson non ha saputo più nulla. Altri due ex dipendenti di Ventavia erano stati contattati dal BMJ, confermando le accuse mosse da parte di Jackson. Uno di loro avrebbe dichiarato che l’azienda si aspettava un audit federale, ma non gli risulta che sia stato avviato.
Il BMJ afferma che la FDA aveva pubblicato, nell’agosto 2021, una sintesi delle ispezioni effettuate durante la sperimentazione del vaccino Pfizer, ma nella lista dei siti controllati non viene menzionata Ventavia. Riguardo ai mancati controlli dei partecipanti, come ad esempio i test PCR per riscontrare eventuali infezioni da Sars-Cov-2, l’articolo del BMJ cita un dato riportato all’interno di un memorandum di revisione della FDA dove si afferma che durante la sperimentazione non erano stati effettuati i tamponi a 447 persone.
Pfizer sapeva
Secondo uno degli ex dipendenti di Ventavia contattati dal BMJ, a seguito del licenziamento di Jackson la società aveva informato Pfizer dell’accaduto e dei problemi riscontrati. La società produttrice del vaccino avrebbe poi avviato delle verifiche.
Pfizer non avrebbe segnalato le problematiche riscontrate da Jackson riguardanti l’operato di Ventavia alla FDA. Quest’ultima, sempre a conoscenza delle segnalazioni inviate da Jackson, aveva successivamente autorizzato la somministrazione del vaccino anti Covid.
Conclusioni
Nell’articolo del BMJ non vengono riportate le prove di una effettiva falsificazione dei dati da parte di Ventavia. Vengono riportate le accuse di mala gestione del trial clinico di fase 3 riguardanti una singola società, la Ventavia, che si occupava di appena mille volontari su oltre 40 mila dell’intera fase sperimentale. Problemi che erano stati comunicati sia alla FDA che a Pfizer, ma che non avrebbero influito sul risultato finale. Dello stesso parere è Enrico Bucci, adjunct professor alla Temple University ed esperto nel revisionare di studi scientifici, riportando una sua analisi pubblicata su Il Foglio.
Di questo argomento se ne è occupato anche Aureliano Stingi, PhD in Cancer Biology che collabora con l’OMS contro l’infodemia Covid-19.
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