Il ruolo di Draghi e Di Maio nella scarcerazione di Patrick Zaki

Il premier è in prima linea fin dal suo arrivo a Chigi. Mentre sullo sfondo resta il vero nodo: il caso Regeni

C’è lo zampino dell’Italia nella scarcerazione di Patrick Zaki E lo stesso premier Mario Draghi avrebbe «seguito personalmente» la vicenda dello studente di Bologna fin da quando è arrivato al governo. Il lavoro diplomatico c’è stato, e si è intensificato nelle ultime settimane. Non solo: secondo le ricostruzioni del Corriere della Sera, ci sarebbero stati anche contatti con il presidente egiziano Al Sisi, alcuni riservati. Contatti diretti con il presidente egiziano Al Sisi ci sono stati, alcuni di questi sono stati tenuti riservati. E ancora: una volta al mese, da settembre a oggi, il capo della Farnesina Luigi Di Maio ha toccato il tema Zaki nei suoi incontri con l’omologo egiziano prima all’Assemblea delle Nazioni Unite, poi a margine della conferenza internazionale sulla Libia a Parigi, infine al vertice dei Paesi del Mediterraneo a Barcellona.


Un segnale di queste attività ad altissimi livelli, ricostruisce invece oggi Repubblica, è dato dal fatto che ieri in tribunale non c’erano solo i diplomatici italiani, europei e canadesi come ormai accade da tempo, ma anche per la prima volta un inviato americano. Una mossa che fa parte di questa partita guidata da Draghi e Di Maio ma il cui vero protagonista, si legge ancora su Repubblica, sarebbe il presidente della Commissione esteri della Camera Piero Fassino. Insieme ai suoi colleghi infatti Fassino sta lavorando da mesi in ottica di “diplomazia parlamentare”. Incontrando importanti protagonisti della vita istituzionale del Cairo, l’ultimo solo pochi giorni fa, attraverso cui far giungere messaggi importanti al paese.


Il coinvolgimento Usa

Ancora secondo quanto ricostruisce Rep, Giampaolo Cantini, precedente ambasciatore italiano in Egitto, durante il suo tempo al Cairo aveva costruito un buon rapporto con l’inviato americano nominato da Donald Trump, ma allineato alla nuova amministrazione di Joe Biden: Jonathan Coe. Dopo la sua elezione, Biden ha deciso di affrontare la questione egiziana e il tema dei diritti umani, dato il ruolo cruciale del Cairo nell’area. Fino alla decisione, da parte della Casa Bianca su mandato del Congresso, di congelare una tranche di 200 milioni di dollari di aiuti militari all’Egitto. E la richiesta, al presidente Al Sisi, di liberare 16 dissidenti. Una lista in cui è stato inserito anche il nome di Zaki grazie al lavoro di Cantini e di Di Maio.

Il senso delle reazioni ai vertici

Misurate le reazioni di ieri alla scarcerazione dello studente egiziano. In vista di una partita che non è ancora chiusa. Mario Draghi «esprime soddisfazione per la scarcerazione di Patrick Zaky, la cui vicenda è stata e sarà seguita con la massima attenzione da parte del governo italiano», ma esprime anche «gratitudine» nei confronti del governo egiziano. «Continuiamo a lavorare silenziosamente, con costanza e impegno», dice Di Maio. «Patrick Zaki potrà uscire dal carcere, un primo segnale positivo per lui e per i suoi cari. Grazie a tutti coloro che si sono adoperati per questo risultato e che continueranno a lavorare», aggiunge Marina Sereni, sottosegretaria Pd agli Esteri. Il Corriere conferma questa necessità di non enfatizzare: Zaki studia in Italia ma è egiziano, e le rivendicazioni rischierebbero addirittura di essere controproducenti.

Ora invece il governo è fiducioso sul destino di Patrick, accusato tra l’altro di aver scritto prima dell’arresto tre articoli sulle condizioni della comunità coopta in Egitto. Il ragazzo potrebbe tornare a studiare a Bologna – se non verrà imposto l’obbligo di firma. Fino alla sentenza prevista per il 1 febbraio. L’Italia avrebbe poi chiesto all’Egitto, in caso di condanna, una durata non superiore al tempo che il ragazzo ha già passato in carcere. E comunque di scontare la pena in Italia. L’atteggiamento rigido degli egiziani si è sciolto – un po’ – con lo stallo attuale del processo per la morte del ricercatore italiano Giulio Regeni. Perché resta quello il vero nodo nei rapporti tra Roma e Il Cairo.

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