Beffa per Patrick Zaki: l’Egitto esce dallo stato d’emergenza ma il suo resta un “processo speciale”

Il premier egiziano Mostafa Madbouly, riferendosi alla possibile liberazione del ricercatore dell’università di Bologna, ha precisato che si tratta di una «questione che riguarda i giudici»

Solo ieri il presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi annunciava «la fine dello stato d’emergenza in Egitto». La misura era stata introdotta nel 2017 a seguito di due violenti attacchi messi a segno dall’Isis contro due chiese della minoranza cristiana copta ad Alessandria e a Tanta. Di fatto, però, l’Egitto ha vissuto in stato di emergenza per quasi 50 degli ultimi 55 anni. Malgrado questa revoca, in cui è incluso il deferimento dei casi ai Tribunali per la sicurezza dello Stato, non verrà modificata la tipologia di Corte che sta giudicando Patrick Zaki, il ricercatore dell’Università di Bologna in carcere al Cairo dal 7 febbraio 2020. Le sue accuse sono «diffusione di notizie false, incitamento alla protesta e istigazione alla violenza e ai crimini terroristici».


A mettere in evidenza questo paradosso è Hossam Bahgat, direttore esecutivo della ong egiziana Eipr, per la quale Zaki lavorava come ricercatore: «Buone notizie. L’Egitto sta per revocare lo stato di emergenza imposto a livello nazionale dal 2017». E subito dopo Bahgat: «Ciò significa che i tribunali d’emergenza per la sicurezza dello Stato cessano di esistere, a eccezione di alcuni casi di alto profilo, come quelli di Patrick Zaki, Mohamed Al Baqer, Alaa Abdelfattah, Ezzat Ghoneim e altri». Nella giornata di oggi, invece, il premier egiziano, Mostafa Madbouly, a margine di un incontro all’Ocse di Parigi, alla domanda se l’Italia e l’Europa potessero contare sulla liberazione di Patrick Zaki entro fine anno, ha risposto che la «questione riguarda i giudici: in qualità di governo non possiamo interferire nel potere giudiziario e crediamo che il nostro sistema giudiziario sia equo e che i giudici prenderanno la decisione giusta».


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