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Il comitato di Bioetica apre al suicidio assistito. Cosa lo distingue dall’eutanasia: i casi, da Welby a Dj Fabo

31 Luglio 2019 - 06:22 Redazione
Una posizione che potrebbe aprire una nuova fase sul tema. Le storie di chi deciso di interrompere la propria vita da Welby a Dj Fabo

Il comitato nazionale di Bioetica ha pubblicato il primo parere sul “suicidio medicalmente assistito”, che, come vedremo, non è da confondere con l’eutanasia. Nonostante all’interno del Comitato i pareri siano difformi, il documento intende «svolgere una riflessione sull’aiuto al suicidio a seguito dell’ordinanza n. 207/2018 della Corte costituzionale». Il riferimento è alle inchieste che hanno visto indagato Marco Cappato e «alla sospetta illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale».

Il parere del comitato nazionale di Bioetica, si legge nel documento, intende «fornire elementi di riflessione a servizio delle scelte di una società che intenda affrontare una questione, come quella dell’aiuto al suicidio, che presenta una serie di problemi e di interrogativi a cui non è semplice dare una risposta univoca».

Differenze fra eutanasia e suicidio assistito

Di qui l’esigenza di distinguere il suicidio assistito dall’eutanasia: l’eutanasia viene definita nel documento come un atto il cui obiettivo è «anticipare la morte su richiesta al fine di togliere la sofferenza» e in questo senso «è inquadrabile all’interno della fattispecie più generale dell’omicidio del consenziente».

Il suicidio assistito, invece, si distingue dall’eutanasia perché «è l’interessato che compie l’ultimo atto che provoca la sua morte, atto reso possibile grazie alla determinante collaborazione di un terzo, che può anche essere un medico», ma non necessariamente.

Il problema, si rileva nel parere, è che «nell’ordinamento italiano è assente una disciplina specifica delle due pratiche», ossia eutanasia e suicidio assistito, trattati entrambi come «aspetti delle figure generali dei delitti contro la vita».

Da Welby a Dj Fabo

Poter decidere quando terminare la propria vita e interrompere così la propria sofferenza è stata la richiesta che in 12 anni, come un filo rosso, ha legato tanti volti che sono diventati veri e propri emblemi, da Piergiorgio Welby all’ultimo in ordine cronologico, quello di DJ Fabo.

Una volontà di porre fine con dignità alla propria vita devastata dalla malattia – rifiutando con disposizione anticipata i trattamenti medici – che, grazie all’approvazione della legge sul Biotestamento avvenuta nel dicembre del 2017, può essere accolta in modo certo nel quadro, appunto, di una norma dello Stato.

Prima della legge, invece, l’ultima parola è sempre spettata ai giudici e ai tribunali. Resta però aperta la questione del suicidio assistito – distinto dall’eutanasia e dal biotestamento – su cui oggi si è pronunciato appunto il Comitato nazionale di bioetica, con un parere volto a «fare chiarezza». Il primo a porre il tema dell’autodeterminazione del malato e della scelta sul fine-vita fu Piergiorgio Welby, attivista e co-presidente dell’associazione Coscioni.

Piergiorgio Welby

Colpito da anni dalla distrofia muscolare, Welby inviò al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano una lettera in cui chiedeva l’eutanasia. Il 16 dicembre 2006 il tribunale di Roma respinse la richiesta dei legali di Welby di porre fine all’«accanimento terapeutico», dichiarandola «inammissibile» a causa del vuoto legislativo su questa materia.

Pochi giorni dopo, Welby chiese al medico Mario Riccio di porre fine al suo calvario. Riccio staccò dunque il respiratore a Welby sotto sedazione, venendo poi assolto dall’accusa di omicidio del consenziente. Nel 2007 fu poi il caso di Giovanni Nuvoli, malato di Sla di Alghero, che chiedeva anch’egli il distacco del respiratore: questa volta, però, il tribunale di Sassari respinse la richiesta e i carabinieri bloccarono il medico che voleva aiutarlo. Nuvoli iniziò allora uno sciopero della fame e della sete lasciandosi morire.

Eluana Englaro

Ma è nel 2009 con il caso di Eluana Englaro, la giovane di Lecco rimasta in stato vegetativo per 17 anni, che il Paese si è diviso tra i favorevoli alla volontà del padre Beppino di far rispettare il desiderio della figlia di porre fine alla sua esistenza se si fosse trovata in simili condizioni, e i contrari.

Varie le sentenze di rigetto delle richieste dei familiari, finché la Cassazione, per ben due volte, non si è pronunciata a favore della sospensione della nutrizione e idratazione artificiale.

Fanelli e Piludu

Anche Mario Fanelli, malato di Sla morto per cause naturali nel 2016, chiedeva una legge sull’eutanasia. E sempre nel 2016, Walter Piludu, ex presidente della provincia di Cagliari malato di Sla, è morto ottenendo il distacco del respiratore: il tribunale di Cagliari ha infatti autorizzato la struttura sanitaria dove si trovava a cessare i trattamenti.

Fabiano Antoniani (dj Fabo) / ANSA/EUTANASIALEGALE.IT

Dj Fabo

Nel 2017 esplode il caso di Dj Fabo, morto in Svizzera nella struttura dove si è recato accompagnato da Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni per ottenere il suicidio assistito. Dj Fabo (Fabiano Antonini) si era rivolto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella affinché intervenisse sul fine vita.

A 39 anni, cieco e tetraplegico a seguito di un grave incidente stradale, chiedeva di «essere libero di morire» e giudicava «scandaloso che i parlamentari non avessero il coraggio di prendere la situazione in mano per tanti cittadini che vivono come me».

Patrizia Cocco

Patrizia Cocco, invece, ha combattuto per 5 anni la sua battaglia contro la Sla, poi ha scelto di dire basta. Nuorese di 49 anni, è stata la prima in Italia ad ottenere di ‘staccare la spina’ dopo l’entrata in vigore della legge sul biotestamento. Lo ha fatto dopo aver dato il suo assenso ai medici per la rinuncia alla ventilazione meccanica e per l’inizio della sedazione palliativa profonda.

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