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Covid e “cure domiciliari”, cosa dice la sentenza del Tar sulla circolare del ministero e cosa (non) cambia davvero

18 Gennaio 2022 - 09:34 Andrea Lazzarone
Spieghiamo la sentenza del Tar e il contenuto originale della circolare del Ministero della Salute

Il Tar del Lazio, con sentenza pubblicata il 15 gennaio 2022, si è pronunciato su un ricorso promosso da alcuni medici, che contestavano la validità della circolare del Ministero della Salute sulla Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-COV-2, nella parte in cui, nei primi giorni della malattia, prevede una mal intesa “vigilante attesa” e somministrazione di FANS e paracetamolo (principio attivo del paracetamolo) e in particolare nella parte in cui pone delle indicazioni “in negativo”, ossia sconsigliava ai medici di utilizzare determinati farmaci come l’idrossiclorochina.

Per chi ha fretta:

  • È vero che il Tar Lazio ha effettivamente annullato il protocollo definito impropriamente “Tachipirina e vigile attesa” (ne parliamo qui), ma ne ha annullato solo una parte, quella che sconsigliava* ai medici di utilizzare determinate terapie;
  • L’annullamento è dovuto al fatto che sconsigliare di adottare determinate “cure” contrasta con il codice deontologico dei medici, il quale afferma che «L’esercizio della medicina è fondato sulla libertà e sull’indipendenza della professione che costituiscono diritto inalienabile del medico» e che prevede nel giuramento di Ippocrate «di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento»;
  • La sentenza non è l’ammissione che il protocollo sia dannoso, né la prova che eventuali altre terapie, come quelle utilizzate da alcuni gruppi di medici siano state riconosciute come efficaci.

Analisi

La pronuncia ha dato ragione al gruppo di medici e questo ha scatenato i gruppi negazionisti, che stanno festeggiando sui social per una pronuncia che avrebbe finalmente eliminato quel protocollo che, a loro dire, impediva le cure solo per far aggravare i pazienti e per boicottare i gruppi di terapie domiciliari che adottavano altre terapie. E’ però il caso di analizzare meglio la questione per chiarire le ragioni di questa decisione, che in parte sono condivisibili ma che non comportano affatto le conseguenze che molti stanno diffondendo sui social.

Cosa dice il protocollo Aifa

Cominciamo a contestualizzare la questione. La circolare incriminata, in primo luogo, consiste in un documento di 26 pagine (che potete trovare qui) e che, come recita la sua stessa premessa, «è redatto da un apposito Gruppo di Lavoro costituito da rappresentanti istituzionali, professionali e del mondo scientifico, illustra le modalità di gestione domiciliare del paziente affetto da COVID-19 da parte del Medico di Medicina Generale (di seguito MMG) e del Pediatra di Libera Scelta (di seguito PLS) sulla base delle conoscenze disponibili a oggi».

Proprio sulla base delle conoscenze acquisite fino ad oggi, l’AIFA ha predisposto una serie di linee guida e di procedure burocratiche per i medici. In particolare, a pagina 10-11, la Circolare fornisce una serie di indicazioni per la gestione della terapia farmacologica domiciliare per i “casi lievi”, per i quali si sottolinea che «per soggetti con queste caratteristiche cliniche non è indicata alcuna terapia al di fuori di una eventuale terapia sintomatica di supporto» e che individua una serie di indicazioni, tra le quali appunto la mal compresa “vigile attesa”, trattamenti sintomatici con paracetamolo per la febbre e FANS per i dolori muscolari e articolari, costante idratazione soprattutto per gli anziani, ma anche l’utilizzo di monoclonali verso i pazienti che mostrano un peggioramento delle condizioni cliniche. Come dimostrato, e ci teniamo a ribadirlo, il protocollo non è dunque quella “Tachipirina e vigile attesa” narrata dai contestatori.

Di contro, sempre sulla base delle evidenze scientifiche disponibili, la Circolare si premura anche di sconsigliare espressamente l’utilizzo di alcuni farmaci che, ad oggi, non hanno mostrato alcuna efficacia ed anzi in alcuni casi hanno mostrato l’emergere di effetti collaterali. Si stabilisce ad esempio di non utilizzare cortisterioidi (se non per forme gravi della malattia), eparina (se non per soggetti immobilizzati dall’infezione), antibiotici (se non in chi ha una acclarata sovrainfezione batterica), idrossiclorochina (che non ha mai attestato alcuna efficacia) e benzodiazepine (per possibili rischi di depressione respiratoria). Ed è questo secondo elenco ad essere stato contestato dal gruppo di medici. Non, dunque, l’intero documento.

Analisi della sentenza

Quello che i contestatori hanno lamentato, e i giudici del Tar riconosciuto, è che le raccomandazioni da parte dell’AIFA a non prescrivere determinati trattamenti, a prescindere dalle evidenze scientifiche a supporto di tale divieto, si pone in contrasto con la deontologia professionale del medico. In effetti, il Codice di deontologia medica ha cura di precisare in più parti l’assoluta libertà e indipendenza del medico nella scelta delle terapie.

Lo stesso giuramento di Ippocrate presenta come prima formula il giuramento «di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento». L’art. 4 del Codice, invece, stabilisce espressamente che «L’esercizio della medicina è fondato sulla libertà e sull’indipendenza della professione, che costituiscono diritto inalienabile del medico». Per tali ragioni, l’AIFA non ha il potere di “vietare” a un medico la scelta, in scienza e coscienza, di determinati trattamenti, sulla base del suo insindacabile giudizio.

Si legge infatti nella sentenza che «è onere imprescindibile di ogni sanitario di agire secondo scienza e coscienza, assumendosi la responsabilità circa l’esito della terapia prescritta quale conseguenza della professionalità e del titolo specialistico acquisito» e pertanto «la prescrizione dell’AIFA (…) contrasta con la richiesta professionalità del medico e con la sua deontologia professionale (…) impedendo l’utilizzo di terapie da questi ultimi eventualmente ritenute idonee ed efficaci (…), come avviene per ogni attività terapeutica».

Del resto, il Tar Lazio fa notare che in un caso simile un altro giudice si era già pronunciato sulla medesima prescrizione, stabilendo che «la nota AIFA non pregiudica l’autonomia dei medici nella prescrizione, in scienza e coscienza, della terapia ritenuta più opportuna» e che il senso delle linee guida in questione, «fondate su evidenze scientifiche documentate in giudizio» è quello di «fornire un ausilio, ancorché non vincolante, a tale spazio di autonomia prescrittiva, comunque garantito».

Insomma: il senso della decisione è che l’AIFA ben può, e anzi deve, fornire indicazioni generali sulle terapie più idonee sulla base delle evidenze scientifiche disponibili, ma non può raccomandare al medico il ricorso, in scienza e coscienza e sotto sua responsabilità, di altre terapie che questi ritenga altrettanto idonee nel caso specifico, poiché questa facoltà è e resta un diritto inalienabile del medico. Se poi la terapia scelta dal medico si rivelerà errata, sarà lui stesso a risponderne, come accade già per tutte le altre terapie.

Cosa non dice la sentenza

Stando così le cose e individuato cosa esattamente dice la sentenza, possiamo “a contrario” ribadire cosa la stessa sentenza non dice, per rispondere a quello che in molti stanno diffondendo sui social.

In primo luogo, la sentenza conferma che la Circolare non impone affatto solo “Tachipirina e vigile attesa”.

In secondo luogo, la sentenza non ha annullato la Circolare nella parte in cui consiglia paracetamolo e “vigile attesa”, ma soltanto nella parte in cui sconsiglia ai medici di non utilizzare determinati farmaci.

In terzo luogo, la sentenza non dice da nessuna parte che le terapie sconsigliate da AIFA in realtà siano efficaci. Dice semplicemente che il medico ha diritto di somministrare cosa vuole, salvo rispondere personalmente delle sue scelte.

In quarto luogo e di conseguenza, con la sentenza in questione di fatto non cambierà nulla rispetto a prima, in quanto la mal menzionata “Tachipirina e vigile attesa”, unita ai FANS in caso di dolori muscolari e ai monoclonali se la malattia peggiora, continua ad essere la procedura da adottare. Semplicemente, a tale protocollo il medico potrà, se lo ritiene, aggiungere ulteriori terapie, comprese quelle ad oggi sconsigliate da AIFA, a tutela della sua indipendenza e libertà di giudizio. Qualunque conseguenza avversa derivata dall’utilizzo di terapie sconsigliate, ovviamente, ricadrà sullo stesso medico, che ne risponderà in prima persona.

Articolo in collaborazione con Andrea Lazzarone (PaoloTuttoTroppo).

Nota*: Nel “Per chi ha fretta” è stato corretto un errore, sostituendo la parola “impedisce” con “sconsigliava” in quanto quelle della circolare erano raccomandazioni.

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