Omicidio Ziliani, le confessioni: «Con la testa in un sacchetto non moriva: abbiamo usato le mani»

Il «trio criminale» secondo il gip progettava da tempo l’omicidio, cioè quasi un mese e con almeno due tentativi falliti di avvelenare la vittima

A uccidere Laura Ziliani ci hanno provato più volte le due figlie e il ragazzo di una di loro, che aveva una relazione clandestina con l’altra. I tentativi erano iniziati già tre settimane prima dell’ultimo decisivo, come è emerso dalle confessioni dei giorni scorsi riportate nei verbali citati dal Corriere della Sera. Silvia e Paola Zani, 27 e 20 anni, in carcere dal 24 settembre 2021 per l’omicidio dell’ex vigilessa 55enne, hanno ammesso che non erano prove di avvelenamento quelle tentate sulla vittima e le sue reazioni agli ansiolitici nella tisana. I tre la volevano uccidere in quel modo, ma qualcosa non è andato come previsto: «Non sono riuscito ad andare fino in fondo, ho avuto paura», ha detto ai magistrati Mirto Milani, dopo essere poi ricoverato per un crollo. Per il gip le ammissioni dei tre confermano la necessità del carcere per quell’omicidio «a lungo pianificato».


I tentativi di avvelenarla e di strangolarla

Proprio poco dopo il primo tentativo, i tre avevano scavato una buca nel bosco, trovata poi dai carabinieri pochi metri distante da dove era stato ritrovato il corpo della vittima, riemerso solo con la piena del fiume Oglio l’8 agosto dello scorso anno. Quella buca è rimasta inutilizzata. Nel corso dei giorni, i tre si sono convinti che fosse necessario andare fino in fondo. La figlia maggiore, Silvia, sarebbe stata la più determinata. Sarebbe stata lei, ex fisioterapista, a procurarsi le benzodiazepine usate per l’ultimo tentativo di avvelenamento.


Era il 7 maggio 2021, i tre e la vittima si trovavano nella casa di Tamù: «Le abbiamo dato la tisana» hanno raccontato in modo sostanzialmente uniforme tutti e tre, scendendo nel dettaglio sulla crudezza dell’omicidio che si stava complicando. Secondo la versione dei ragazzi, Ziliani è stata indebolita dagli ansiolitici, e a quel punto hanno provato a strangolarla: «le abbiamo messo un sacchetto in testa e abbiamo provato a strangolarla con una fettuccia in velcro». Ma il tentativo va a vuoto. Ziliani ha le convulsioni per la fame d’aria, ma non moriva ancora: «E allora l’abbiamo strozzata con le mani».

Le mani sarebbero state quelle di Mirto Silvia. Il corpo poi è stato portato sull’argine del fiume, nascosto alla buona sotto terra, ma non nella buca già pronta, troppo profonda per essere ben occultata. A spingerli a uccidere la donna, dicono i tre, non sarebbero state motivazioni economiche, ma «rapporti famigliari tesissimi, logori da tempo» e scontri con una madre severa «che ci faceva sentire sbagliate, inadeguate», soprattutto in confronto a lei e ai suoi risultati professionali e personali, dicono le ragazze ai magistrati.

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