La Marmolada chiusa per fermare chi sale nonostante i divieti: «Il mio compagno è volato via, io salva per un attimo»

Curiosi e turisti ignoravano l’ordinanza del comune di Canazei. Ora gli accessi sono presidiati dalla polizia. I racconti di sopravvissuti e soccorritori

La Marmolada è chiusa. Il Soccorso Alpino ha installato cartelli di divieto in tutti i cinque punti di accesso alla montagna. Sono presidiati dalle forze dell’ordine, perché nonostante la tragedia in questi giorni c’è chi ha continuato a salire. Curiosi e veri e propri turisti che ignoravano l’ordinanza del comune di Canazei. Intanto il numero dei dispersi è calato a cinque unità. Sono tutti italiani. Intanto sale la rabbia dei familiari delle vittime. «Perché nessuno li ha fermati?», si è chiesta la sorella di Erica Campagnaro, che con il marito Davide Miotti è ancora nella lista di chi non si trova. Ma c’è anche chi si è salvato. Il 30enne Davide Carnielli è stato riconosciuto dai genitori grazie a un piercing. Ma è ancora ricoverato in terapia intensiva a Treviso. Alessandra De Camilli ha invece perso il compagno Tommaso Carollo: «Lui è stato spazzato via, io sono viva per pochi centimetri».


I cartelli di divieto e le bandiere rosse

Al terzo giorno dalla tragedia il versante trentino della Regina delle Dolomiti diventa chiuso al pubblico per motivi di sicurezza. Intanto si ragiona su come cambiare il sistema degli allarmi. Che d’estate non funziona e si sospende insieme al servizio meteo. La valutazione del pericolo oggi è appannaggio esclusivo degli alpinisti. Ma presto, promette il presidente della provincia di Trento Maurizio Fugatti, le cose cambieranno. «In una stagione eccezionale come questa il nostro concetto di attenzione nello spingerci in alta quota deve essere aggiornato. Per questo è opportuno pensare a sistemi di segnalazione del pericolo: le bandiere rosse sui ghiacciai sotto stress possono aiutare gli escursionisti a compiere scelte sempre più consapevoli», dice oggi. Per il governatore le bandiere possono essere utili come i bollettini.


«Esperti, scienziati e istituzioni alpinistiche stanno ragionando. Una montagna è un sistema più complesso di una pista da sci: certo è che non rinunceremo al dovere di governare cambiamenti sempre più rapidi». Intanto la Marmolada diventa una sorvegliata speciale. A monitorarla saranno tre radar. Uno controllerà gli spostamenti «rapidi tipici delle valanghe» e uno per «sorvegliare quelli più lenti, tipici delle frane». Nicola Casagli, docente di Geologia applicata all’Università di Firenze e responsabile del progetto spiega che il primo è un doppler in grado di intercettare spostamenti rapidissimi e impulsivi, tipo quelli delle valanghe, e dare l’allarme. La stima dell’«intervallo di sicurezza», ovvero il tempo prima dell’arrivo della valanga, non sarebbe superiore ai venti secondi. Troppo poco per riuscire a scappare. Nel vallone però l’intervallo arriverebbe a 50 secondi.

I sopravvissuti e i soccorritori

Intanto c’è chi racconta come è sopravvissuto alla tragedia. Alessandra De Camilli, architetta di Schio in provincia di Vicenza, in un colloquio con Repubblica racconta di essersi salvata per un attimo mentre il suo compagno veniva spazzato via: «Ho sentito un rumore e guardato verso l’alto. Ho visto pezzi di neve e ghiaccio che scendevano, ho sentito qualcuno che gridava “via-via”. Poi penso di essere svenuta. Non ho avuto neanche il tempo di pensare “ora scappo”, che sono stata travolta». Alessandra era con Tommaso Carollo: «Eravamo arrivati alla base del ghiacciaio, restava un percorso da fare sulla roccia. Ma ci siamo fermati e avevamo iniziato a tornare indietro. Era tardi. Mi sembrava troppo lungo il tragitto, era anche caldo. Ma chi poteva immaginare una cosa del genere».

Luca Carolli del Soccorso Alpino invece racconta al Corriere della Sera che tra i dispersi c’era anche un suo amico guida alpina: «La furia sprigionata da questo evento è stata così forte che credo sarà difficile trovare qualcosa. Spero sempre di recuperare qualche oggetto del mio amico, ma anche degli altri. Lo spero per chi è morto, ma anche per le famiglie. È importante trovare la pace nel sapere che la persona cara è stata ritrovata». E questo perché «vista la disgrazia, tra resti umani ed equipaggiamenti vari si può trovare di tutto. Scarponi, guanti, piccozze, caschi. In genere questi oggetti sono anche colorati e quindi di più facile individuazione. È come se fosse passata una macchina che rotola, e ciò che trova nel suo percorso lo macina».

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