La rabbia del fidanzato di Donatella Hodo suicida in carcere: «L’hanno lasciata sola». L’avvocato: «Tutti si sono impegnati, anche il giudice»

Per la sua legale il giudice di sorveglianza era una persona qualificata che teneva molto ai suoi detenuti

Rabbia dal fidanzato di Donatella Hodo, 27enne suicida in carcere dopo aver inalato del gas dal fornello della cella. «Non è stato il suicidio in carcere di una drogata. Donatella, la mia Dona, era pulita da un anno. Ora che non c’è più, leggo e sento commenti al veleno. In troppi stanno dando giudizi senza sapere nulla di lei». Così Leonardo Di Falvo per la prima volta si espone, in un’intervista al Corriere della Sera. I due si conoscevano da quando erano adolescenti. Ora, Leonardo se la prende con il sistema carcerario italiano, ma non solo. Le colpe dietro il gesto della ragazza sono da dividere anche con la famiglia e i suoi amici, secondo Di Falvo, che l’avrebbero lasciata sola. Lui la andava a trovare in cella, si sentivano telefonicamente e le dava sostegno tutti i giorni, secondo il suo racconto. C’erano programmi per il futuro tra i due: lui aveva preso una casa con cui andare a convivere con lei una volta uscita dal carcere. Le aveva trovato anche un lavoro, Donatella voleva fare l’estetista.


Il giorno della tragedia

Tutto si è interrotto la notte tra l’1 e il 2 agosto in cui Hodo si è uccisa. «Con il suo gesto ha bloccato anche la mia vita. Il tempo per me si è fermato, minuto dopo minuto, ora dopo ora, continuo a chiedermi perché. Cosa le è scattato? È forse accaduto qualcosa che non so?», dice Leonardo con disperazione. Il ragazzo racconta che la mattina del suicidio non aveva notato nulla di diverso. Lei si era presentata con i suoi alti e bassi come al solito. «Anche quel giorno i suoi soliti cinque minuti in cui era partita per la tangente, ma poi l’avevo riportata sui binari». Sulle scuse del giudice di sorveglianza, Vincenzo Semeraro, il quale ha scritto una lettera aperta letta poi ai funerali di Hodo, in cui si autoaccusava, Leonardo Di Falvo non si esprime positivamente. Troppo tardi per lui scusarsi ora. «Ora tutti dicono qualcosa, ma dov’erano quando Dona poteva essere salvata? Cos’hanno fatto per aiutarla?».


La versione dell’avvocato

Una versione in parte diversa arriva dall’avvocato di Donatello Hodo, Simone Bergamini. In un’intervista a Il Dubbio spiega che per lei «tutti si sono dati da fare». A non funzionare, spiega, «è il sistema dell’esecuzione penale nel nostro Paese. Dietro i tanti suicidi in carcere c’è una grande responsabilità della nostra classe politica». Sul «fallimento» che si auto-imputa il giudice di sorveglianza Bergamini commenta lasciando intendere che le colpe non sono sue, ma condivise. «Abbiamo fallito tutti», dice. Racconta del giudice come di un’ottima figura qualificata che aveva a cuore il suo lavoro. «Va sempre in carcere, conosce i detenuti per nome, come dovrebbe fare qualsiasi magistrato di sorveglianza. Ha una grandissima esperienza in materia di sorveglianza e una profonda sensibilità umana verso tutti i condannati. Credo che ogni recluso vorrebbe avere il dottor Semeraro come giudice di sorveglianza».

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