Dl aiuti, resta il tetto agli stipendi dei dirigenti pubblici: cosa prevede il decreto

Lo scorso 13 settembre l’emendamento era stato approvato dalle Commissioni riunite di Bilancio e Finanze del Senato

All’approvazione di un emendamento al decreto aiuti bis volto ad abolire il tetto degli stipendi dei manager per le figure apicali della Pa e delle Forze dell’ordine aveva fatto seguito un rimpallo delle responsabilità tra i partiti e il disappunto del presidente del consiglio Mario Draghi. Irritazione che oggi si è riflessa nel dietrofront del governo: nonostante l’approvazione delle Commissioni riunite di Bilancio e Finanze a Palazzo Madama dello scorso 13 settembre, la deroga al tetto degli stipendi sarà eliminata, e dunque non entrerà mai in vigore. Il decreto aiuti ter, approvato la scorsa settimana dal consiglio dei ministri, è stato pubblicato in serata sulla Gazzetta Ufficiale. Il provvedimento stanzia 14,14 miliardi di nuovi aiuti a imprese e famiglie per far fronte al caro energia. Si va dal nuovo bonus una tantum di 150 euro per dipendenti, pensionati, co.co.co, colf e autonomi ai crediti alle piccole e medie imprese, alla stretta sulle delocalizzazioni. Tra le novità del testo, rispetto alle ultime bozze, c’è la proroga di tre mesi, fino al 31 marzo 2023, dei tempi per le imprese per portare in detrazione i crediti d’imposta per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale. La proroga sposta il termine del 31 dicembre 2022 fissato dal decreto aiuti bis. Viene prorogato anche il termine relativo alla cessione di questi crediti, che potranno essere «usufruiti dal cessionario con le stesse modalità con le quali sarebbe stato utilizzato dal soggetto cedente e comunque entro la stessa data del 31 marzo 2023».


La genesi dell’emendamento: il giallo

Il tetto alle figure apicali di Pubblica Amministrazione e Forze dell’ordine ammonta a 240 mila euro, ed è stato introdotto nel 2014 dal governo guidato da Matteo Renzi. La somma include i “trattamenti accessori”, cioè le voci che si aggiungono allo stipendio base. La deroga che ha acceso il dibattito riguardava i capi delle forze armate, i capi di dipartimento dei ministeri e il segretario generale della presidenza del Consiglio. Ma la responsabilità della sua stesura non voleva assumersela nessuno, nemmeno il firmatario della prima versione dell’emendamento Marco Perosino (Forza Italia). A Open aveva dichiarato che il testo che aveva scritto «prevedeva semplicemente l’equiparazione del trattamento economico dei vertici delle forze di Polizia con quello dei vertici della Guardia di finanza e dei Carabinieri». Poi, prosegue la sua ricostruzione, mentre nelle commissioni riunite di Bilancio e Finanze «si parlava d’altro, qualcuno ha voluto inserire un emendamento che prevede lo sfondamento del tetto dei 240 mila euro».


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