Lega, inizia la resa dei conti. Zaia: «Analisi seria sulle cause». Ceccardi: «Colpa dei governisti»

In vista del consiglio federale di domani, i fronti interni si stanno delineando chiaramente: nordisti, governisti e salviniani

Matteo Salvini aveva abituato la sua base a dei numeri doppi – alle elezioni europee anche tripli -, rispetto alla soglia del 9% sotto cui si è fermata la Lega in questa tornata elettorale. Il segretario era riuscito a convincere persino la base più nordista ad abbandonare il verde padano e a vestire il partito di un blu nazionale. Tutto in ragione di un consenso inedito per la creatura di Umberto Bossi. Adesso che quella bolla di popolarità è scoppiata, l’impianto salviniano è stato messo in discussione. La prima resa dei conti si terrà domani, 27 settembre, alle 15 in via Bellerio: la Lega ha indetto un consiglio federale per analizzare gli esiti del voto. Ancora più indicativa è la mossa dei governatori del Carroccio: hanno anticipato il consiglio federale convocando già nel pomeriggio di oggi un vertice aperto soltanto a loro. Quale sarà l’indirizzo della riunione, l’ha fatto intendere Luca Zaia. Il presidente del Veneto, recordman di preferenze e da tanti ritenuto – insieme a Massimiliano Fedriga e Giancarlo Giorgetti – leader di una corrente contrapposta a quella salviniana, è stato il primo a uscire allo scoperto contro il segretario. «È innegabile come il risultato ottenuto dalla Lega sia assolutamente deludente, e non ci possiamo omologare a questo trovando semplici giustificazioni».


Il vertice

«Il voto degli elettori va rispettato perché, come diceva Rousseau nel suo contratto sociale: “Il popolo ti delega a rappresentarlo, quando non lo rappresenti più ti toglie la delega”». Tutto riconduce a una presa di coscienza che il progetto di una Lega nazionale sia fallito. «È un momento delicato – ha aggiunto Zaia – ed è bene affrontarlo con serietà perché è fondamentale capire fino in fondo quali aspetti hanno portato l’elettore a scegliere diversamente. L’analisi da fare non può essere liquidata con letture banali: è doveroso che siano ascoltate le posizioni, anche le più critiche, espresse dai nostri militanti. L’obiettivo dovrà essere un chiarimento per non lasciare nulla di inesplorato», ha concluso in una dichiarazione pubblicata poche ore dopo la conferenza stampa di Salvini. Mentre il presidente del Veneto si prepara, dunque, a un vertice riservato con Attilio Fontana e Massimiliano Fedriga, emergono anche le voci di chi difende il segretario. Susanna Ceccardi, candidata della Lega alle scorse regionali in Toscana e che, dopo la sconfitta, ha rinunciato al posto di consigliera per tornare all’europarlamento, ha attaccato proprio l’ala governista della Lega. «L’appoggio al governo Draghi ci ha annientati e all’interno del partito coloro che hanno messo in discussione il nostro segretario e lo hanno indirizzato verso l’appoggio al governo perché “ce lo chiedeva il Nord produttivo” dovrebbero fare una profonda riflessione. Il nord produttivo ha votato chi stava all’opposizione, bocciando completamente l’agenda Draghi»


I tre fronti del partito

«Torniamo a fare quello che sappiamo fare meglio. Stare al governo del Paese nell’interesse degli italiani e non dei burocrati di Bruxelles», ha concluso Ceccardi nel suo post sui social. Edoardo Rixi, appena rieletto deputato del Carroccio, ha puntato il dito direttamente contro Draghi e non contro la sua – ormai citatissima ma impalpabile – agenda: «In questi nove mesi il presidente del Consiglio, in maniera non degna della figura di Draghi, non ha certo difeso il nostro leader dagli attacchi che ha ricevuto. Le conferenze stampa finivano tutte con insinuazioni dei nostri confronti, questo non è accettabile». Parole dure, invece, arrivano dal senatore uscente Toni Iwobi, non ricandidato nelle liste della Lega: «La democrazia è fatta di cittadini liberi che esprimono con il voto un diritto e una preferenza su una determinata forza politica: abbiamo il dovere di prendere atto del risultato ottenuto, di rispettare la volontà popolare e soprattutto di avviare un esame di coscienza interno al movimento per capire che cosa non ha funzionato e come poter ripartire. In particolare, da militante da quasi 30 anni della Lega Lombarda, il bilancio è molto pesante, e su questo deve essere avviata una riflessione ripartendo dalla base, dai nostri militanti, che sono il cuore pulsante della Lega. Quel confronto interno che non c’è stato prima del voto – anche per ragioni di tempistiche – ora è assolutamente necessario per il bene della nostra Lega a partire da un congresso in Lombardia».

La base della Lega ribolle. La classe dirigente se ne fa interprete. E in vista del consiglio federale di domani, i fronti interni si stanno delineando chiaramente. Ci sono i nordisti puri, quelli che per abbandonare il progetto di partito nazionale e tornare al verde Sole delle Alpi si farebbero le flebo con l’acqua del Po. Sono militanti più che dirigenti, ma sicuramente la loro frustrazione si riversa più contro il segretario e che contro i governatori. I presidenti di Regione, appunto, che insieme ai giorgettiani costituiscono l’ala governista del partito. Quella che l’interesse del Nord produttivo viene prima di ogni cosa e che vedono nell’autonomia regionale l’obiettivo più alto della loro missione politica. E infine, ci sono i salviniani, ovvero chi dall’exploit del segretario ha guadagnato posizioni in via Bellerio, ruoli a livello nazionale e internazionale. Hanno un debito nei confronti del segretario ma, soprattutto, se cade Salvini, cadono anche loro.

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