Referendum Donbass, parla Michael Carpenter (Osce): «Propaganda per legittimare il violento sequestro delle terre ucraine»

L’ambasciatore Usa presso l’organizzazione per la sicurezza e cooperazione in Europa commenta l’ultimo report sulla stretta autoritaria di Mosca, che ha raggiunto l’apice con le nuove leggi approvate a luglio

Oggi è l’ultimo giorno di votazioni a Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Cherson, le quattro province ucraine – sotto il controllo dell’esercito di Mosca – chiamate a esprimersi con un «referendum farsa» sulla possibile annessione alla Federazione Russa. Un’operazione in aperto contrasto con i principi della Carta delle Nazione Unite e che ha suscitato lo sdegno di tutta la comunità internazionale. Al coro di voci che in questi giorni hanno condannato la decisione di Vladimir Putin si aggiunge ora anche l’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. In un incontro con la stampa a cui Open ha partecipato, l’ambasciatore americano presso l’Osce, Michael Carpenter, non ha usato giri di parole per descrivere il voto nel Donbass: «Esito a chiamarli referendum perché, ovviamente, non lo sono – sottolinea Carpenter -. Si tratta di semplici trovate propagandistiche, utilizzate per cercare di legittimare il violento sequestro della Russia del territorio ucraino».


«I referendum? Un chiaro segno di disperazione»

Tutti i Paesi occidentali, dagli Stati Uniti all’Unione Europea, hanno già fatto sapere che non riconosceranno il risultato delle consultazioni, definite «una farsa». I primi risultati resi noti oggi dalle commissioni filorusse mostrano che il 97% dei votanti si sarebbe espresso a favore dell’annessione alla Federazione Russa. Dati che, secondo la comunità internazionale, sono poco credibili e difficilmente rispecchiano le vere volontà dei cittadini. Decine di video e testimonianze, infatti, dimostrano che l’esercito russo sta costringendo gli abitanti della zona a votare nelle proprie case, minacciando ritorsioni in caso di rifiuto. Una situazione che l’ambasciatore definisce inaccettabile.


«Buona parte della popolazione ucraina è stata costretta a scappare – aggiunge Carpenter -. Mentre, fra chi è rimasto, molti sono stati soggetti al “processo di filtraggio”, che si è tradotto nella deportazione forzata di milioni di ucraini». Il fenomeno a cui si riferisce l’ambasciatore americano è quello dei cosiddetti «campi di filtraggio», utilizzati dall’esercito russo per processare i cittadini ucraini delle zone occupate prima che questi venissero spediti in Russia. Nei mesi scorsi, alcuni testimoni hanno denunciato alla Bbc l’uso di percosse, torture con elettricità e omicidi.

Visto l’insieme di queste dinamiche, dunque, non sorprende che anche l’Osce, che si occupa proprio di sicurezza e cooperazione, abbia condannato senza mezzi termini il voto nel Donbass, definito come un «tentativo ridicolo» di imitare i processi democratici «con una pistola puntata addosso». Va ricordato, infatti, che fu proprio l’organizzazione a rivelare, già ad aprile, l’intenzione della Russia di indire un referendum nelle aree occupate. Una decisione che, a causa della resistenza ucraina, è stata rinviata parecchie volte. «Il Cremlino ha dovuto posticipare i suoi piani per così tanto tempo a causa delle ripetute sconfitte sul campo di battaglia – sottolinea Michael Carpenter -. Il tentativo frettoloso della Russia di ricorrere a questi trucchi propagandistici è un chiaro segno di disperazione».

Fonte: U.S. Embassy | Michael Carpenter, ambasciatore americano all’Ocse

Il report dell’Osce: «In Russia violazione sistematica dei diritti umani»

Nei giorni scorsi l’Osce ha pubblicato un report sul rispetto dei diritti umani e delle libertà in Russia. Il documento, frutto di una missione di esperti che hanno raccolto decine di testimonianze, è nato dalla richiesta di 38 Paesi, Italia compresa, di investigare sullo stato di salute della democrazia in Russia e sul rispetto delle libertà fondamentali. Il report, come sottolineato dall’ambasciatore Carpenter, ha evidenziato «violazioni sistematiche delle leggi internazionali sui diritti umani». La stretta autoritaria in Russia, si legge nel documento, «si è intensificata gradualmente dal 2012 e ha raggiunto il suo apice con le nuove leggi approvate nel luglio 2022». La maggior parte delle nuove misure messe a punto dal Cremlino ha avuto l’effetto, più o meno dichiarato, di complicare il lavoro di Ong, attivisti, giornalisti indipendenti e associazioni per la difesa dei diritti umani.

«Per decenni, ai candidati di opposizione è stata negata la possibilità di fare campagna elettorale, mentre una cosiddetta “opposizione sistemica”, cooptata dal regime, dava la falsa apparenza di pluralismo», spiega Carpenter. Secondo l’ambasciatore, è proprio la «concentrazione verticale del potere» ad aver portato alla guerra in Ucraina. Dallo scoppio del conflitto, il Cremlino ha approvato nuove leggi sui media e sulla libertà di espressione, che rendono di fatto «impossibile» lo svolgimento di qualunque lavoro giornalistico sul tema. Di esempi ce ne sono diversi: da Facebook definita «organizzazione estremista» al divieto di usare la parola «guerra» al posto di «operazione speciale».

Non sorprende, dunque, che sempre più persone stiano cercando di scappare dalla Russia. Dall’inizio del conflitto, decine di organizzazioni no-profit e testate indipendenti – a partire da Novaja Gazeta – si sono trasferite fuori dai confini russi. Da giorni, inoltre, sono decine di migliaia i cittadini che si stanno riversando ai confini con la Georgia, la Mongolia e la Finlandia per cercare di farsi una vita altrove. «Qualunque sia il numero di persone che ha lasciato la Russia sinora, è soltanto la punta dell’iceberg», commenta Carpenter. A loro, infatti, vanno aggiunte «tutte quelle persone che vorrebbero andarsene, ma non hanno i mezzi per farlo».

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