I falchi pronti allo scontro per comandare dopo Putin, la fronda dei “moderati”: le indiscrezioni russe sul futuro del Cremlino

I più accreditati per gli analisti a sostituire «l’eterno presidente», che dovrebbe restare al potere almeno fino al 2036, sarebbero Medvedev, Kirienko, Djumin e Sobjanin

Fino a qualche tempo fa l’ipotesi era così improbabile da non essere nemmeno presa in considerazione. La figura di Vladimir Putin, “l’eterno presidente”, era intoccabile. Ma ora, con la situazione in Ucraina che si fa sempre più complessa, sembra che persino i fedelissimi abbiano iniziato a discutere dell’impensabile eresia: il “dopo Putin”. «Non è che vogliano rovesciare Putin adesso o stiano complottando — ha riferito una fonte dell’amministrazione presidenziale ad Andrej Pertsev, analista russo del think tank Carnegie Politika — ma c’è la consapevolezza, o il desiderio, che potrebbe non governare il Paese nel prossimo futuro». Come racconta la Repubblica, Putin si sarebbe dovuto dimettere nel 2024, quando scadrà il suo quarto mandato, ma due anni fa ha promosso una riforma costituzionale che gli permette di restare al potere fino al 2036. E, compiuti 70 anni venerdì scorso, non è scontato che si ricandidi. Potrebbe anzi averlo fatto non per garantirsi il potere a vita, ma per avere il tempo di scegliere accuratamente il suo successore, evitando una battaglia tra i suoi luogotenenti che finirebbe solo per destabilizzare il Paese. Ma, osserva l’ex autore dei discorsi del presidente russo, Abbas Galljamov, in una lunga dissertazione sulla nuova Operatsija Prejemnik (Operazione Successore) per il media indipendente online Poligon, «il tempo che la storia gli ha concesso per scegliere il suo successore non è infinito. Più debole sarà nel momento in cui annuncerà il nome, più è probabile che alcuni gruppi dell’élite si rifiuteranno di obbedirgli». Più passa il tempo, più si riducono le probabilità di un trasferimento ordinato del potere e aumentano i rischi di complotti, rivolte o violenze. Gli scenari sono molteplici. E pure i possibili candidati che, secondo Pertsev, seguono due opposte strategie.


I candidati che fanno “rumore”

Da una parte c’è il “rumore”: «I falchi sono guidati dall’assunto che Putin stesso sceglierà il suo successore, perciò lo imitano nel tentativo di vincerne il favore segnalando che ne difenderanno l’eredità». È il caso del segretario generale del partito di Putin Russa Unita, Andrej Turchak, o del presidente della Duma, Vjacheslav Volodin, ma soprattutto dell’ex presidente e premier Dmitrij Medvedev, oggi numero due del Consiglio di Sicurezza russo. Si inizia a far notare anche Serghej Kirienko, primo vice capo dell’amministrazione presidenziale incaricato di curare i rapporti con i territori ucraini, che ha moltiplicato le sue apparizioni e può contare su una vasta rete di fedeli tecnocrati. Il suo tallone d’Achille è la sua totale estraneità al mondo dei “chekisti” o “siloviki”, gli uomini delle forze di sicurezza vicini a Putin, e il suo passato. Iniziò infatti la sua carriera al fianco dell’oppositore Boris Nemtsov e durante la sua parentesi da premier nel 1998 fu costretto a dichiarare il primo default russo.


I candidati del “silenzio”

Ci sono poi quelle figure che hanno scelto di non parlare dell’operazione militare. «Il loro silenzio è un atto politico. Si aspettano che a scegliere il nuovo leader saranno le élite che punteranno a un tecnocrate in grado di conciliare interessi opposti», spiega Pertsev. Un profilo basso che punta, prima o poi, a ripristinare le relazioni con l’Occidente e Kiev. Si tratta del premier Mikhail Mishustin e del sindaco di Mosca Serghej Sobjanin, considerati in lizza per la successione già prima del 24 febbraio. Un silenzio non benvisto da Putin, a differenza di quello del suo ex “pretoriano” Aleksej Djumin, considerato da anni il possibile delfino del presidente. Veterano dell’Fso, il Servizio di protezione federale che garantisce la sicurezza del presidente, ed ex viceministro della Difesa, avrebbe guidato le forze speciali durante l’annessione della Crimea, poi sarebbe stato nominato governatore di Tula, nel tentativo di avvicinarlo al popolo.

Gli altri papabili candidati

Anche Galljamov passa al vaglio diversi potenziali successori: il vicepremier Dmitrij Kozak, il ministro dell’Agricoltura e figlio del capo del Consiglio di Sicurezza, Dmitrij Patrushev, Denis Manturov, ex vicepremier, o i liberali Aleksej Kudrin e German Gref. C’è chi azzarda l’ipotesi, improbabile, di una rivolta dal basso e di un’ascesa al Cremlino dell’oppositore numero uno di Vladimir Putin, Alexei Navalny, o dell’ex oligarca in esilio Mikhail Khodorkovskij. In ogni caso, per il momento la corsa alla successione rimane del tutto ipotetica. «Putin non ha annunciato l’inizio dei casting e non sta pianificando di lasciare l’incarico. Ma l’interesse mostrato per la corsa dagli esponenti più autorevoli dell’élite, senza menzionare l’entusiasmo dei partecipanti, dimostra che il sistema vuole discutere, e persino vedere, un futuro post-Putin».

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