Quattro condanne a morte e 315 manifestanti indagati. È questa la risposta delle autorità iraniane alle proteste che da oltre un mese agitano la Repubblica islamica. Le manifestazioni sono iniziate dopo l’omicidio della 22enne Mahsa Amini, che sarebbe stata uccisa dagli agenti della polizia della moralità che l’avevano arrestata per non aver indossato correttamente il velo. Le proteste si sono diffuse poi in tutto l’Iran, e a queste è poi seguita una dura repressione da parte del regime. Alla violenza per le strade sono seguiti gli arresti e ora sono centinaia le persone in attesa di un processo. Ali Salehi, il procuratore del tribunale rivoluzionario di Teheran, ha spiegato che i manifestanti sono accusati di «raduni e collusione contro la sicurezza, propaganda contro il sistema e danni all’ordine pubblico». Per quattro di loro, le autorità hanno emesso una condanna a morte con l’accusa di Muharebeh, un’offesa contro lo stato e contro Dio attraverso l’uso delle armi per creare insicurezza. Secondo il procuratore sono «entrati in conflitto con il sacro sistema della Repubblica islamica, creando paura nella società, ferendo le forze dell’ordine, distruggendo e incendiando la proprietà privata». Il Muharabeh è un crimine previsto dalla Sharia e dal codice penale iraniano per il quale è prevista la pena capitale. Il capo del dipartimento di Giustizia della provincia di Alborz, a ovest di Teheran, ha poi aggiunto che 201 manifestanti sono anche accusati di aver avuto contatti con i servizi segreti stranieri.
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