Daniela Santanchè, Visibilia e la storia del pasticcio con i fondi della Cig Covid

Il Fatto Quotidiano: secondo documenti della Consob alcuni dipendenti continuavano a lavorare per l’azienda

L’avvocato Salvatore Sanzo, che rappresenta la ministra del Turismo Daniela Santanchè, ha fatto sapere ieri che il nome dell’esponente di Fratelli d’Italia non è presente nel registro degli indagati. La difesa ha presentato «apposita istanza alla Procura della Repubblica di Milano, dalla quale si evince che, in piena coerenza con quanto dichiarato dalla sen. Santanchè, a carico della stessa non risultano, nel Registro degli indagati, iscrizioni suscettibili di comunicazioni». Alla nota il difensore allega anche l’esito dell’istanza di cosiddetto “335 ccp” nella quale la Procura fa sapere che sulla posizione della senatrice FdI e ministra del Turismo «non risultano iscrizioni suscettibili di comunicazioni». L’agenzia di stampa Ansa ha ricordato ieri che la Procura può non fornire risposta all’indagato sull’iscrizione nel registro se quest’ultima è stata secretata.


La storia di Visibilia e dei fondi Covid

Intanto però oggi Il Fatto Quotidiano racconta un’altra vicenda che riguarda la società Visibilia Editore e i fondi Covid. L’azienda nel 2020 ha fatto domanda per gli aiuti della Cassa Integrazione Covid. Ma alcuni dipendenti, secondo documenti della Consob, continuavano a lavorare a tempo pieno per l’azienda. All’epoca Santanchè era amministratrice delegata dell’azienda. E tutto è proseguito fino a novembre 2021, quando invece al vertice di Visibilia c’era Dimitri D’Asburgo Lorena, attuale compagno della ministra. Il quotidiano spiega che la cassa integrazione ordinaria prevede il versamento al lavoratore di un’indennità pari all’80% dello stipendio. «L’azienda integrerà al 100% la retribuzione netta mensile di tutti i dipendenti che dovranno accedere alla cassa integrazione prevista dal decreto Cura Italia», ha messo per iscritto il consiglio di amministrazione di Visibilia. Ma i documenti di Consob dicono invece che la parte della retribuzione a carico di Visibilia Editore è stata mascherata anche come “rimborso chilometrico”. In più l’azienda avrebbe compilato le autocertificazioni Inps all’insaputa dei dipendenti.


La vendita di Visibilia

E nel frattempo si apre anche una questione che riguarda la vendita dell’azienda. Il 18 ottobre scorso «Nell’azionariato sono entrati Luca Giuseppe Reale Ruffino con il 12,94 per cento del capitale, e Sif Italia, spa controllata sempre da Ruffino che ne è anche a.d., con l’8,78 per cento», secondo una nota dell’azienda. Ma Giuseppe Zeno, uno dei soci di minoranza, dice oggi a Repubblica: «Perché si acquista una società gravata da debiti con il fisco e l’istituto di previdenza, e su cui pende un esposto per gravi irregolarità nella gestione e con operazioni finanziarie illogiche?». E ancora: «Perché si acquista una società il cui bilancio non è stato certificato da due distinte società di revisione? Io, come imprenditore, sarei stato più prudente: se ho intenzione di acquistare, sottoscrivo prima una lettera d’intenti con cui il venditore accetta di farmi visionare i libri contabili, in modo da verificare lo stato di salute della società».

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