Lombardia, scricchiola l’operazione Moratti. La base di Azione ribolle, il Pd “brucia” i suoi candidati e spiana la strada alla rielezione di Fontana

La sensazione tra attivisti e dirigenti dei vari partiti del centrosinistra è che, dopo 30 anni, le Regionali su suolo lombardo si sarebbero potute vincere. «Condizionale passato» perché, senza coalizione, sono tutti convinti di aver già perso prima ancora di formulare le liste

Lombardia migliore, stesse iniziali di Letizia Moratti. L’associazione culturale nata per supportare la candidatura della politica 72enne perde i primi pezzi. Lorenzo Maggi, uno dei fondatori ed ex vicesindaco di Lodi – pronto a correre per un posto in consiglio regionale -, scarica Moratti: «Il nostro orizzonte doveva essere il centrodestra, inaccettabile l’apertura al Pd», afferma. E non è l’unico a dirsi sconcertato per la traiettoria che avvicina l’ex ministra berlusconiana al mondo del centrosinistra. Chi si muove negli ambienti – politici e civici – a sostegno di Moratti adesso tentenna: Partito democratico, Terzo polo, Movimento 5 stelle, tre atomi che hanno deciso di affrontare singolarmente la coalizione del centrodestra, da tre decenni vincente in Lombardia. Una sconfitta annunciata. Chi sull’onda dell’entusiasmo per la sua discesa in campo ha appoggiato subito Moratti, ora sta sondando per un rientro indolore nel centrodestra che, in Lombardia, vuol dire governo.


Il punto è che quell’entusiasmo è scemato anche tra gli attivisti di Azione che operano in Regione. La scelta di imbarcare sulla nave terzopolista «la donna di destra» è stata una scelta calata dai vertici nazionali, senza consultare la base territoriale del partito. In Azione-Lombardia si ritrovano politici più o meno giovani che si definiscono socialdemocratici e che, nelle chat, si domandano: perché dobbiamo inchinarci a una donna di destra? Accusano il leader Carlo Calenda di aver orchestrato l’operazione troppo frettolosamente, senza preparare il terreno e verificare le condizioni per un’alleanza con il Pd. Il risultato è che i morattiani non vogliono aprire al centrosinistra, gli iscritti di Azione non vogliono piegare i propri valori a un’esponente del centrodestra. Insomma, chi vuole davvero la candidatura di Moratti?


Non ne è certamente felice Niccolò Carretta, unico consigliere regionale di Azione in Regione Lombardia. Più fonti raccontano di una sua opposizione alla candidatura dell’assessora al Welfare dimessasi dalla giunta Fontana. «Ha preso le distanze da Calenda la prima volta che ventilò l’ipotesi Moratti», ci dice un iscritto milanese di Azione. «Carretta non è il solo a essere scettico – racconta un altro – diversi dirigenti locali ed elettori stanno pensando di fare un passo indietro se davvero si porta Moratti». Carretta, negli ultimi giorni, pare abbia rallentato il suo ostruzionismo nei confronti di Moratti: si parla di un possibile ticket dei due per Palazzo Lombardia. La solidità della proposta del Terzo polo per la Regione, comunque, si scontra con un partito, Azione, diviso su due livelli: quello territoriale, che spera ancora di riuscire a trovare un equilibrio con il Pd lombardo – come per le regionali in Lazio, dove Alessio D’Amato è supportato sia dalla segreteria Dem che da Calenda -, e quello nazionale, che si muove «sugli impulsi di Calenda e senza tenere conto di ciò che chiede la base».

L’accordo tra Azione e Pd era quasi chiuso. Si era trovata un’intesa di massima su Carlo Cottarelli, senatore eletto nelle file del Nazareno che, però, ha un rapporto di stima reciproca e amicizia con Calenda. Poi, il balzo in avanti di Moratti ha mandato fuori giri la strategia e il nome dell’economista è stato bruciato. Così come quello dell’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che ha lasciato l’agone: «Ritenevo possibile un’alleanza col Terzo polo ma in un ambito di un centrosinistra che si rinnova e decide insieme i candidati e il programma. Pensare di imporre una candidata di destra, che non sarebbe votata dalla gran parte dell’elettorato di centrosinistra, è stato sbagliato e controproducente». Il Pd, al momento, si trova nella situazione di presentarsi con due piccoli partiti satellite – Alleanza Verdi-Sinistra e +Europa -, senza coalizione ampia e con lo stesso cartello elettorale che ha segnato la débâcle alle politiche del 25 settembre. Ricucire con i 5 stelle lombardi, dopo la conferenza stampa di Conte e la rottura sul Lazio, in una terra dove i grillini, poi, non riscaldano tanti cuori, è un’ipotesi remota, remotissima.

Letta, però, ha criticato aspramente la fuga in avanti del Terzo polo su Moratti, serrando una strada che per alcuni era difficile, ma non impossibile. L’ex ministra Roberta Pinotti e Luigi Zanda hanno mandato un segnale chiarissimo: se c’è voglia di vincere – ed è questo il tema per i Dem pronti a fare un passo indietro sui principi – bussare a donna Letizia. Ma se Azione vive una frattura tra partito nazionale e base territoriale, le faglie interne al Pd sono multisistemiche: gli esponenti – siano essi milanesi, lombardi, del Nazareno, da Trento a Caltanissetta – che dicono «mai sostegno a una donna di destra» sono tanti quanti quelli che non rifiutano a priori un’alleanza con il Terzo polo. Cosa fare per dirimere le ragioni delle due fazioni? Nessuno lo sa.

Ciò che qualcuno tra i possibili candidati Dem sta valutando, piuttosto, è se cambiare casacca e confluire in Azione. Un mero calcolo: la legge elettorale lombarda assegna un cospicuo premio di maggioranza alla coalizione vincente. La restante parte dei seggi, se la spartiscono le opposizioni. E, ad oggi, le forze contrapposte al centrodestra sono almeno tre: Pd, Terzo polo, 5 stelle. Per il Pd, che oggi conta 14 seggi in Consiglio regionale, si prefigura lo scenario di dimezzare i posti in Consiglio, contendendosi i voti con i centristi di Calenda. Sarebbe una sconfitta. Ma tant’è, già si sprecano tra i dirigenti locali i ragionamenti di chi sa che correrà per perdere. E vuole perdere nel miglior modo possibile. Resta il rammarico che, dopo 30 anni e con un candidato del centrodestra – Attilio Fontana – considerato debole, sperare di vincere su suolo lombardo era folle, ma non impossibile.

Leggi anche: