Lo schiaffo in palestra e il sistema degli abusi nella ginnastica: «Pesavo 45 chili e venivo tartassata, io ho detto no»

I racconti della mamma di un’allieva colpita da un’istruttrice. E quelli delle ex atlete diventate insegnanti

Il caso ginnastica ritmica continua a dividere lo sport. Mentre il ministro dei giovani e dello sport Andrea Abodi si augura «pene giuste, non esemplari» nella vicenda degli abusi sulle allieve, l’istruttrice Miriam Patrese giura che non peserà le sue ragazze. E aggiunge che anche lei è finita nel tritacarne quando gareggiava: «Venivo tartassata quando pesavo appena 45 chili. A mia madre dicevano: “tua figlia ha le gambe troppo grosse». E intanto la madre di un’altra allieva accusa: gli abusi sono un sistema. «Il primo schiaffo della sua vita mia figlia non l’ha preso da me o dal padre, ma da un’istruttrice. La portai via da quella palestra e non ci è più rientrata». Successivamente sui fatti è stato presentato un esposto alla Federginnastica. «Ma l’istruttrice ha “patteggiato” un mese di sospensione senza ammettere la colpa».


L’esposto penale

La donna racconta oggi in un’intervista al Corriere della Sera di aver presentato un esposto penale per lo schiaffo dato alla figlia. E che lo ha fatto perché vuole che non succedano più fatti del genere «e che chi ha schiaffeggiato mia figlia non torni più ad allenare». I fatti sono accaduti in una palestra del Nord Est. «Se una ragazzina non mi avesse avvertito quasi pentendosi di averlo fatto, se non avessi visto la faccia di mia figlia forse non me ne sarei accorta. Quando le allieve si abituano al sistema non raccontano nulla a casa, credo per paura». L’allenatrice le disse «che mia figlia si era distratta e per questo era caduta dalla trave. Che era stata costretta a darle uno schiaffo e che infatti l’esercizio successivo era stato eseguito in modo perfetto». Successivamente la donna ha raccolto altre testimonianze su allieve che venivano tirate per i capelli o prese a schiaffi. Poi è arrivata la convocazione in procura federale. E il mese di sospensione. Mentre un dirigente disse che tutto questo poteva starci.


La storia di Miriam Patrese

Miriam Patrese invece ha 27 anni e insegna ginnastica ritmica a Roma oltre a svolgere il ruolo di giudice di gara. «Anche ai miei tempi c’erano le pesate di gruppo. Accadeva alle ragazzine e alle meno piccole, sistematicamente. Serviva per ammonire, perché nessuno si potesse nascondere. Succedeva in tutte le realtà, dai livelli più bassi ai più alti», racconta oggi a la Repubblica. «Tutti sanno che i giudici tendono a premiare la magrezza. Se non sei filiforme e magrissima vieni frenata. Fai un esercizio da oro, ma arrivi quarta se non hai tutti i centimetri a posto, se non hai sembianze da bambina», aggiunge. Per questo gli allenatori si chiedono «se sia giusto investire su una ginnasta se sanno che in gara verrà penalizzata. E s’inizia con i commenti sull’aspetto fisico. Io venivo tartassata dai tecnici e pesavo appena 45 kg. Ti inculcano un canone, vieni misurata continuamente. All’inizio è una sfida con le altre, poi diventa una sfida con te stessa».

Una generazione di anoressiche

Patrese racconta di aver detto alle istruttrici che stavano crescendo «una generazione di anoressiche. Tante ginnaste hanno avuto problemi alimentari, che certamente influiscono sul loro presente. A me è rimasto il trauma delle gambe grosse, tendo sempre a coprirle». E spiega che «il corpo insegnanti e allenatori di ritmica in Italia è composto per la maggior parte da donne non più giovani. E le giurie per lo più da giudici di vecchia scuola, formate sul famoso modello russo, una sorta di regime del terrore. In Italia l’abbiamo studiato molto bene. So che i video degli allenamenti delle russe si osservano attentamente, ci sono delle vere e proprie sedute. Copiamo. E abbiamo imparato a vincere. Ma a quali costi?».

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