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L’Italia entra nel «post populismo»: guerra, Covid e crisi economica cambiano i bisogni. E 2 italiani su 3 si sentono insicuri – I dati Censis

02 Dicembre 2022 - 10:01 Ygnazia Cigna
Le quattro crisi dell'ultimo triennio hanno diffuso l'ansia che tutto può accadere, cambiando l'immaginario collettivo. Lo studio dell'istituto

L’Italia entra nel ciclo del post-populismo. Il nostro Paese, già colpito da problematiche socio-economiche strutturali, è aggravato da quattro crisi che si sono sovrapposte negli ultimi 3 anni: la pandemia, la guerra in Ucraina, l’alta inflazione e la morsa energetica. Eventi che hanno sviluppato la paura nei cittadini di essere esposti a rischi globali ritenuti incontrollabili. In questa cornice sono emersi nuovi bisogni e prospettive di benessere che non sono più inquadrabili solo come «populisti». A segnarlo sono gli ultimi dati del 56esimo rapporto Censis: quasi tutti gli italiani, il 92,7%, crede che l’inflazione continuerà a perdurare ed è pertanto necessario pensare a come difendersi. Il 76,4% ritiene che non potrà contare su aumenti significativi delle proprie entrate familiari nel prossimo anno. Il 69,3% ha timore che nei prossimi mesi il proprio tenore di vita si abbassi e il 64,4% sta ricorrendo ai risparmi. E in questa morsa economica il mondo del lavoro viene colpito senza distinzioni: non solo i lavoratori autonomi, ma anche i dipendenti, i pensionati e coloro che percepiscono un reddito fisso.

I bisogni considerati «insopportabili» e il post populismo

I dati fotografano una realtà nuova: in questo nuovo scenario socioeconomico cambia anche l’immaginario collettivo. Cresce la repulsione verso i privilegi considerati da alcuni «odiosi». Gli italiani trovano «insopportabili» i seguenti fenomeni: la disparità salariale tra dipendenti e manager (87,8%), i bonus milionari di buonuscita per i manager, pagati per andarsene piuttosto che lavorare (86,6%), le tasse troppo basse pagate dai colossi del web (81,5%), i guadagni degli influencer, gli eccessi e gli sprechi per le feste delle celebrità (78,7%), l’uso di jet privati (73,5%)e l’ostentazione sui social di spese stratosferiche in hotel, ristoranti e locali notturni (69,3%). Dati che mettono palesemente in luce la fine dell’era dell’abbondanza e indicano l’irruzione dell’austerità. «Queste insopportabilità sociali non sono liquidabili come populiste – spiega il rapporto – ma sono i segnali del fatto che nella società si è già avviato un ciclo post-populista basato su autentiche e legittime rivendicazioni di equità, in una fase in cui molti sentono messo a repentaglio il proprio benessere».

È la fine delle manifestazioni in piazza?

Non solo la percezione del benessere e del disagio sociale. A cambiare è anche la modalità delle mobilitazioni. Il Censis segnala un calo di scioperi, manifestazioni di piazza e cortei. «Emerge il massificarsi di una ritrazione silenziosa della partecipazione ad ambiti costitutivi del vivere civile», si legge nel rapporto. A esemplificazione del concetto aiutano i dati del voto elettorale. Alle ultime elezioni politiche, del 25 settembre, il primo partito è stato quello degli astenuti che ha segnato un record nella storia repubblicana: quasi 18 milioni di persone (il 39% dei votanti).

Verso una nuova età dei rischi

Le quattro crisi dell’ultimo triennio hanno diffuso l’ansia di un balzo indietro nella storia, con il timore di poter essere colpiti da eventi globali catastrofici. «Tutto può accadere»: è questa l’ottica a cui si è abituato l’immaginario collettivo. L’84,5% degli italiani, in prevalenza laureati e giovani, è convinto che vada presa in seria considerazione la possibilità che eventi geograficamente lontani possano cambiare la propria quotidianità in modo radicale. Si entra così in una nuova età dei rischi. E quelli considerati in grado di mutare le nostre vite i prossimi anni sono: le guerre per il 46,2 % degli italiani, le crisi economiche per il 45%, i virus per il 37,7%, gli eventi atmosferici catastrofici per il 24,5% e gli attacchi informatici su vasta scala per il 9,4%. E così, pensando al futuro proprio e della propria famiglia, oltre la metà dei cittadini (il 66,5%) si sente insicuro.

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