La scritta della Rete dei patrioti è apparsa al porto ravennate dove è attesa la Ocean Viking con 113 persone a bordo
«Governo che cambia, cattive frequentazioni (europee) che perdurano» recita il comunicato del Movimento nazionale Romagna – La rete dei patrioti che oggi 31 dicembre ha esposto uno striscione con la scritta «Porti chiusi per città sicure» al porto di Ravenna, dove è atteso lo sbarco della nave Ocean Viking con a bordo 113 migranti. Un attacco da destra contro il governo Meloni e al decreto che introduce le nuove regole per le navi delle Ong, secondo il movimento di estrema destra insufficiente e inefficace visto che «gli sbarchi continuano e le nuove sanzioni per le ong che disobbediscono alle linee guida non servono praticamente a nulla». E poi continuano: «Il problema immigrazione è una priorità che anche l’attuale Governo non vuol prendere in considerazione. L’idea di una società multietnica e cosmopolita è fallita». Perciò gli attivisti della rete dei patrioti dicono di volersi opporre «strenuamente allo sbarco su Ravenna dei migranti dell’Ocean Viking e rilanciamo con forza le nostre richieste per una politica seria e centrata sulla tutela dell’interesse nazionale, la difesa dei confini e la sicurezza dei nostri connazionali»
Il russo Ilya Yashin, oppositore di Vladimir Putin, è stato condannato a 8 anni di carcere con l’accusa di aver «diffuso false informazioni sull’esercito russo» sulla strage di Bucha. Di fatto, Yashin negava la versione del Cremlino secondo cui i rapporti della strage stessa fossero state fabbricate contro Mosca. La narrazione del Cremlino è stata a lungo sostenuta anche in Italia, mettendo in dubbio i video e le foto scattate a Bucha, sostenendo addirittura la presenza di attori che si fingevano morti. Teorie del complotto che abbiamo trattato in diverse occasioni, in particolare nello nostro speciale di Open Fact-checking, ulteriormente smentite da un video girato da un drone reso noto dalla Cnn e dalle inchieste del New York Times, riuscendo a identificare gli autori del massacro: il 234° regimento di Mosca. Questa è solo la punta dell’iceberg dell’information war russa contro l’Ucraina e l’occidente, un’attività di disinformazione costante che risulta operativa al di fuori della Russia. In questo articolo, in formato galleria, riporteremo i fact-check di Open sulle fake news diffuse dai canali della disinformazione filorussa, e non solo.
Gli attacchi contro la figura di Volodymyr Zelensky
Una delle narrazioni tipiche della propaganda russa è quella dove Zelensky viene dipinto come un leader che fa uso dei civili di Kiev come scudo umano. A sostenerlo è la televisione di Stato Rossija 1 (Russia 1) durante il programma 60 Minuti del 19 dicembre 2022, affermando che lo stesso Zelensky lo avrebbe ammesso pubblicamente durante un’intervista rilasciata a TF1. In realtà, rispondendo alla domanda riguardo un’eventuale evacuazione di Kiev, il Presidente Ucraino spiegato quanto una città vuota sia facilmente conquistabile, ribadendo però che l’Ucraina è una società democratica e se le persone vogliono andarsene sono libere di farlo, così come sono libere di resistere.
Secondo quanto dichiarato dal Ministro degli Esteri russo Lavrov, come riportato dall’agenzia russa TASS in una pubblicazione del 17 ottobre 2022, il presidente ucraino starebbe agendo contro la Russia per ordine di terzi. Al fine di intensificare gli attacchi alla figura di Zelensky, viene riproposta la narrazione che vede l’Ucraina come un Paese nazista pieno di svastiche e addirittura satanista, Lavrov paragona il sostegno europeo alla Germania di Hitler: «Se parliamo dei nazisti, allora del nazismo tedesco, [Adolf] Hitler ha unito la maggior parte dei paesi d’Europa sotto le loro bandiere per attaccare e distruggere l’Unione Sovietica. Ora, approssimativamente lo stesso gruppo di paesi sostiene Zelensky con alcune varianti». In realtà, gran parte dei Paesi europei non si alleò affatto con Hitler (possiamo citare Albania, Belgio, Gran Bretagna, Grecia, Danimarca, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norbegia, Polonia, Francia), mentre tra gli allora alleati della Germania troviamo Italia, Bulgaria, Ungheria, Romania (fino al 1944), Croazia e la Slovacchia di Jozef Tiso.
La visione di Zelensky come un fantoccio di Stati terzi non è nuova. In un articolo del 2016 di Russia Insider, il cui editore è il trumpiano Charles Bausman, viene riportata la narrazione che vede gli Stati Uniti come i veri sostenitori dei nazisti durante la seconda guerra Mondiale al fine di usarli per sconfiggere Mosca. Lo stesso articolo, pubblicato mesi prima delle elezioni americane del 2016, riportava un attacco contro Hillary Clinton – accusata di satanismo – sfruttando un video del canale complottista InfoWars di Alex Jones. Beccato dalle telecamere di sorveglianza durante l’assalto di Capitol Hill del gennaio 2021, L’editore di Russia Insider Charles Bausman filmò l’assalto e fornì le sue registrazioni a un produttore televisivo russo. Poco tempo dopo, Bausman si trasferì a Mosca come “rifugiato politico”, da dove accusa i media americani di sostenere i “nazisti ucraini”.
Nel corso del 2022, anche la first lady ucraina Olena Zelenska è stata vittima di diverse false notizie al fine di screditare sia lei che il marito.
La narrazione dell’Ucraina governata dai nazisti è una delle basi della propaganda del Cremlino fin dal 2014 con le proteste di Euromaidan, con l’obiettivo iniziale di delegittimare la rivolta popolare filoeuropea a Kiev. L’invasione del 2022 viene descritta come un’opera di “denazificazione” dell’Ucraina “governata dai nazisti”, nonostante l’origine ebrea del Presidente Zelensky e della perdita dei suoi parenti durante l’Olocausto ad opera dei nazisti.
Di fatto, la propaganda russa descrive la rivolta del 2014 come un colpo di stato organizzato dagli Stati Uniti. Questa narrazione venne rilanciata due mesi prima dell’inizio della seconda invasione del febbraio 2022, in un articolo del 18 dicembre 2021 di Russia Today (RT). In Ucraina non c’è stato alcun colpo di Stato e a seguito della fuga del presidente filorusso Viktor Yanukovich si sono svolte regolari elezioni, riconosciute a livello internazionale. Ricordiamo che le proteste che hanno scatenato Euromaidam derivano dal fatto che lo stesso Viktor Yanukovich si era rifiutato, a causa delle pressioni di Mosca, di firmare l’accordo di associazione con l’Unione Europea dopo sette anni di negoziati.
Secondo quanto riportato nell’ottobre 2019 da Russia Today (RT), media finanziato dal Cremlino, i nazisti avrebbero una certa influenza nella politica nazionale. Un’affermazione del tutta priva di fondamento, in quanto durante le stesse elezioni del marzo e aprile 2019 i partiti di estrema destra subirono una disfatta ancor peggiore rispetto a quelle registrate nelle elezioni post Euromaidan. Nonostante l’alleanza dei vari gruppi di estrema destra, la coalizione ottenne appena 315 mila voti su un’affluenza di quasi 30 milioni di votanti, un risultato ben lontano dal minimo necessario per entrare in Parlamento.
Di fatto, la Russia accusa di nazismo un Paese dove è vietata la propaganda nazista (e non solo). Infatti, grazie a una legge approvata nel 2015, per giunta in epoca successiva ai fatti di Euromaidan, l’Ucraina ha messo al bando le ideologie naziste e comuniste. Questa legge venne ampiamente contestata dalla minoranza di estrema destra, dipingendo l’allora Presidente Proroshenko come un “bastardo morto”.
Secondo la propaganda russa, il battaglione Azov sarebbe la dimostrazione di un Paese nazista. Che all’origine paramilitare del battaglione ci fossero combattenti nazisti non vi è alcun dubbio, come raccontato in una nostra inchiesta pubblicata nel maggio del 2022 (1–2–3). Dopo la prima invasione russa in Ucraina, avvenuta a seguito di Euromaidan, il gruppo venne riconosciuto come corpo ufficiale della Guardia Nazionale Ucraina, rendendo impossibile la presenza di molti volontari neonazisti per via dei precedenti penali. Alcuni di questi erano e sono stati negli anni leader di movimenti di estrema destra di ispirazione neonazista, contestatori del governo di Proroshenko fin dal 2014.
Ciò che non viene raccontato dalla propaganda russa è che gli ex Azov e i gruppi di estrema destra neonazista ucraina sono dichiaratamente contro Zelensky e contro la NATO. In quanto antisemiti, descrivono sia l’attuale Presidente e gli Stati Uniti come alleati di Israele e del “potere ebraico”. L’Unione Europea, invece, viene descritta come la nuova Unione Sovietica. Un altro elemento che non viene riportato è che Olena Semenyaka, portavoce del nuovo soggetto politico National Corps degli ex Azov, frequentava i circoli conservatori russi, tra questi quello del filosofo Alexander Dugin.
L’accusa di nazismo non viene mossa soltanto contro l’Ucraina. La Russia non nega la presenza di nazisti all’interno del proprio territorio, ma li associa ai personaggi e ai partiti dell’opposizione a Vladimir Putin. Ad esempio, lo storico oppositore Alexei Navalny viene spesso dipinto come neonazista anche grazie a diversi fotomontaggi diffusi dai filorussi. Tutto questo nonostante il Gruppo Wagner, nato nel 2014, risulti fondato dall’ex militare russo Dmitry Valeryevich Utkin, ex tenente colonnello del GRU (il servizio d’informazione delle forze armate russe) e grande ammiratore di Heinrich Himmler, il fondatore delle SS naziste. Oltre ai vari riferimenti di estrema destra appartenenti al gruppo, lo stesso Utkin – fotografato accanto a Putin nel 2016 – viene ripreso a petto nudo mostrando diversi tatuaggi nazisti.
C’è poi la controversa figura di Stepan Bandera, nazionalista ucraino che prima collaborò con i nazisti tedeschi per poi combattere contro di loro per l’indipendenza dell’Ucraina. Nel 2010, l’allora presidente ucraino Viktor Yushenko conferì a Bandera il titolo di “Eroe nazionale”, revocato da un tribunale ucraino pochi mesi dopo. Di fatto, contrariamente da quanto affermato dalla propaganda russa, Bandera non risulta affatto come “Eroe nazionale ucraino”. Un sondaggio del 2021 dimostra come il Paese sia diviso in merito: il 32% dei cittadini considera la figura di Bandera in maniera positiva per l’Ucraina, un altro 32% in maniera negativa, mentre il 21% considera le sue attività sia come positive che negative.
L’agenzia Sputnik, nella sua versione polacca in un articolo del 15 dicembre 2022, afferma che la Polonia si starebbe preparando ad annettere i territori occidentali dell’Ucraina. La fonte di questa notizia? La portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. Tale narrazione punta a mettere in discussione, ancora una volta, l’integrità e il riconoscimento dell’Ucraina come stato sovrano e indipendente, descrivendo la Polonia come un Paese dalle mire espansionistiche. False notizie affatto nuove, già diffuse dalla stessa agenzia in Bielorussia allargando ancora di più queste fantomatiche mire verso la Germania, la Rep. Ceca e la Slovacchia. Affermazioni prive di fondamento, nonostante Varsavia abbia sostenuto la sovranità dei Paesi dell’Est come l’Ucraina e condannato il Cremlino per le violazioni del diritto internazionale e il riconoscimento delle autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk.
La propaganda russa sul “nazismo” non si limita all’Ucraina, in quanto descrive la politica dell’Unione Europea come una sorta di “nuovo nazismo” che vorrebbe imporrebbe il sentimento anti Russia al fine di distruggerla. Questo tipo di narrazione viene riportato in un editoriale della Pravda, pubblicato il 31 maggio 2016 a firma del titolare Vadim Gorshenin, dove si sostiene che la guida europea di Angela Merkel dimostrerebbe il sostegno per le idee “ariane” sostenendo il nazismo nei Paesi baltici. Nello stesso articolo, si sostiene che l’Europa permetterebbe di portare via i bambini dai propri genitori e di legalizzare la pedofilia.
Una delle teorie diffuse dal media del Cremlino Sputnik riguarda la nuova sede della Nato inaugurata nel 2017 con la presenza di Donald Trump. Secondo l’articolo, pubblicato un anno prima (27 giugno 2016), la struttura ricorderebbe il simbolo delle SS naziste.
Secondo Sputnik News, agenzia di stampa governativa russa, l’Occidente diffonderebbe false notizie sulla presenza dell’esercito russo in Ucraina. Nell’articolo del 20 dicembre 2022, a firma dell’uruguaiano Javier Benitez, l’appello per il ritiro dai territori ucraini di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Cherson sarebbe basato su una menzogna in quanto «la Russia non si trova in Ucraina, bensì in territorio russo, in quanto deciso dalle popolazioni delle quattro regioni». Di fatto, questa falsa narrazione si basa sull’annessione illegale e forzata dei quattro territori da parte della Federazione Russa.
Di fatto, la prima invasione russa in Ucraina risale al 2014 con l’intervento delle forze armate di Mosca in Crimea. Il Referendum del marzo 2014 organizzato dai russi in Crimea non è affatto riconosciuto a livello internazionale, in quanto non ritenuto valido. A condannare le azioni portate avanti dal Cremlino contro l’integrità territoriale dell’Ucraina sono stati il Consiglio dell’Unione europea (2014) l’Assemblea generale delle Nazioni Unite (nel 2014 e nel 2018).
Mosca ha di fatto sostenuto con finanziamenti, addestramento militare e fornendo armi ai separatisti del Donbass, come certificato dalla sentenza sulla strage del volo MH17 e da numerose inchieste, intervenuti a seguito del Referendum in Crimea. Per questo motivo non si può parlare di “guerra civile” tra Kiev e le autoproclamate repubbliche, ma di conflitto internazionale ad opera di uno Stato straniero: la Russia.
Quella che oggi viene definita da Mosca come “Operazione speciale” è di fatto un’invasione, giustificata dalla narrazione che vede un aiuto verso i cittadini russofoni che Kiev starebbe perseguitando nel Donbass. Secondo quanto raccontato dai media russi nel 2021, come 5-TV.ru, le autorità ucraine starebbero attuando azioni russofobe vietando la lingua russa, chiudendo le trasmissioni in lingua russa ed etichettando i cittadini russofoni come “cittadini di serie B”. Risulta approvata una legge del 2019 che punta all’utilizzo della lingua ucraina come lingua di Stato, senza però vietare qualunque altra lingua minoritaria a qualunque livello (scolastico o mediatico, ad esempio). Risultano chiusi tre canali televisivi filorussi (112 Ucraina, Zik e NewOne) dell’oligarca Taras Kozak, i quali risultavano legati finanziariamente con i separatisti del Donbass e con Viktor Medvedchuk. Quest’ultimo è un personaggio chiave delle attività politiche di Putin in Ucraina: in uno scambio di prigionieri tra Kiev e Mosca, il Cremlino avrebbe chiesto e ottenuto la sua liberazione in cambio di quella dei membri del battaglione Azov di Mariupol. L’ultima narrazione, quella dei “cittadini di serie B”, si basa su una legge che non va contro i russofoni, ma mira a proteggere le popolazioni etniche della Crimea annessa illegalmente dalla Russia: i tartari della Crimea, i caraiti e i krymchak.
Molto circola intorno agli accordi di Minsk, di fatto mai portati a termine. L’Ucraina avrebbe dovuto riottenere il controllo sul Donbass, accordando alle regioni maggiore autonomia. La Russia non ha interrotto la sua presenza e l’appoggio alle autoproclamate repubbliche del Donbass, anche il ritiro delle truppe separatiste sostenute dal Cremlino non è mai avvenuto così come Kiev non ha mai recuperato il controllo dei suoi confini. L’idea di una missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite è stata proposta dall’Ucraina, ma respinta dalla Russia. Quest’ultima, invece, preferiva un intervento solo nelle aree confinanti tra quelle separatiste e quelle sotto il controllo di Kiev, rafforzando di fatto la separazione e il controllo russo sulle regioni.
L’inesistente genocidio nel Donbass
La narrazione di un esercito ucraino “nazista” ed estremamente violento contro le popolazioni del Donbass viene sostenuta da diverse notizie inventate e promosse dai media russi. Uno dei più noti e raccapriccianti è quello di un fantomatico di un bambino e di sua madre da parte dell’esercito ucraino a Slovyansk, a seguito della sua liberazione dalle forze russe. A diffondere il racconto è stato il canale “Channel One” (1TV) attraverso un servizio mandato in onda il 12 luglio 2014, dove una donna di nome Galina Pyshniak sosteneva di essere stata testimone oculare dell’atto criminale: i nazionalisti ucraini avrebbero crocifisso il figlio di un miliziano separatista, per poi legare a un carro armato la madre trascinandola in piazza fino alla morte davanti agli occhi dei residenti. Ciò che risulta curioso è che a seguito dell’arrivo dell’esercito ucraino a Slovyansk, avvenuto il 6 luglio 2014, il filosofo russo Alexander Dugin pubblico 3 giorni dopo – e prima della falsa testimonianza di Galina Pyshniak – un post Facebook dove denunciava un fantomatico genocidio da parte dei nazionalisti ucraini, i quali avrebbero fucilato gli uomini fino ai 35 anni lasciando i loro cadaveri per strada e nelle abitazioni. Il giorno dopo la diffusione del servizio di “Channel One“, un fotoreporter di Novaya Gazeta, la testata giornalistica indipendente russa recentemente colpita dal Cremlino, intervistò i residenti di Slovyansk senza ottenere conferma del presunto atto criminale. Al contrario, i cittadini avevano raccontato al reporter russo che l’esercito ucraino si era comportato in maniera civile con i residenti. A smentire ulteriormente la narrazione del canale televisivo russo e del filosofo Dugin è stato il giornalista Timur Olevskiy di TV Rain.
Non ci sono prove di un fantomatico genocidio attuato dall’Ucraina nel Donbass. Gli unici a sostenerlo sono il Cremlino, per voce dello stesso Vladimir Putin, e gli ambienti filorussi che appoggiano dal 2014 l’invasione russa in Ucraina. Sono presenti due narrazioni: mentre gli ultimi parlano di 14.000 cittadini russofoni uccisi dagli ucraini, durante il discorso del 21 febbraio 2022 il presidente russo Putin cita ben 4 milioni di persone.
A smentire la narrazione del Paese invasore è un rapporto del 27 gennaio 2022 dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani dove viene riportato il numero delle vittime durante il conflitto dal 2014 a fine 2021: almeno 3.404 civili, circa 4.400 membri delle forze ucraine e circa 6.500 membri dei gruppi armati a sostegno dei separatisti. Un ulteriore smentita del fantomatico genocidio arriva da una sentenza del marzo 2022 della della Corte Internazionale di Giustizia dell’Onu, smentendo a sua volta le accuse di genocidio ad opera della Russia contro l’Ucraina.
I rifugiati ucraini, vittime due volte della Russia
Secondo un recente report pubblicato dall’European Digital Media Observatory (EDMO), il 7% della disinformazione sull’invasione russa in Ucraina riguarda la demonizzazione dei rifugiati ucraini.
Concludiamo la galleria con alcune precisazioni. Un articolo di Panorama del 9 aprile 2022 viene spesso citato per contestare la nostra testata giornalistica e in particolare la sezione fact-checking. Secondo quanto riportato nel titolo, «il fact-checker di Facebook» avrebbe pubblicato «quattro fake news in tre giorni» sull’invasione russa in Ucraina, ma tali contestazioni sono risultate forzate e inconsistenti.
L’articolo di Panorama ci accusa di aver diffuso 4 fake news in 3 giorni. Partiamo da un articolo intitolato «Le storie di donne e bambini torturati e uccisi a Irpin» dove riportiamo il racconto della giornalista ucraina Alina Dubovksa. Secondo Panorama, quest’ultima avrebbe fatto «retromarcia» attraverso un post Facebook. In realtà, la giornalista ucraina non aveva ammesso in alcun modo di aver diffuso una notizia falsa o non verificata, nessuna «retromarcia». Contattata da Open, Alina Dubovksa ci informa che lei stessa aveva fornito informazioni alle forze dell’ordine ucraine che stanno indagando sulla vicenda.
Un altro caso riguarda un articolo sul comandante e la brigata russa inizialmente accusati di essere gli autori della strage di Bucha che, secondo un’indagine pubblicata da Il Manifesto, risulterebbero accusati ingiustamente. Open, come riportato dal titolo stesso dell’articolo, aveva raccontato correttamente un fatto: le accuse pubbliche mosse contro l’unità militare da parte di gruppi di attivisti. In nessun caso Open definiva come colpevoli il comandante e la brigata russa.
Come riportato nella nota di Open, la foto di gruppo risale a un periodo precedente alla strage. Il giorno dopo il nostro articolo, gli attivisti di InformNapalm, che avevano segnalato la brigata, pubblicarono un elenco dei membri che però risaliva – su loro stessa ammissione – al 2018. Nella lista non c’era Omurbekov Azatybek Asanbekovich, il comandante indicato come il «macellaio di Bucha», in quanto assunse l’incarico dell’unità militare nel 2021.
Non abbiamo dati per sostenere che almeno uno dei ripresi abbia proseguito le attività con l’unità militare. Il Manifesto, che era riuscito a contattare alcuni dei soldati ritratti, in un articolo successivo (dal titolo «Kiev: la brigata russa di Bucha è ancora operativa» con la foto di gruppo come immagine di copertina) ritiene che sia «molto probabile» che i militari nella fotografia «nulla abbiano a che fare con la strage di Bucha», di fatto non lo esclude con certezza assoluta.
La certezza invece riguarda Omurbekov. A rivelare la presenza della brigata da lui guidata sono diverse testimonianze non ucraine, ma russe: l’ex soldato Nikita Chibrin e il soldato Daniil Andreyevich Frolkin. Il primo è scappato dalla Russia dirigendosi in Spagna, per poi venire intervistato da The Insider confermando la presenza del gruppo militare a ovest di Kiev. Nikita racconta anche della loro presenza ad Andreevka, come confermato da un’inchiesta di Istories.media dell’agosto 2022 dove venne intervistato l’altro soldato russo, Daniil Frolkin. Quest’ultimo racconta come Omurbekov trattava lui e i suoi compagni, confermando i crimini di guerra. Frolkin indica i nomi di coloro che sono responsabili degli ordini che portarono all’esecuzione dei civili, tra questi Omurbekov Azatybek Asanbekovich.
Un altro caso, citato da Panorama, riguarda un articolo dove riportiamo l’accusa della vicepremier dell’Ucraina Irina Vereshchuck: «La Russia sta usando forni crematori per bruciare i corpi di donne e bambini». Panorama, in questo caso, forza un collegamento con una foto diffusa “sui social ucraini” di un fantomatico forno crematorio mobile usato dai russi, ma questa non viene in alcun modo riportata o citata da Open, come ammette lo stesso articolo di Panorama.
Arriviamo al caso in cui Open citava un intervento della parlamentare Lesia Vasylenko su una foto di una donna deceduta e marchiata con una svastica. L’articolo, come ammesso da Panorama, era già stato rettificato in giornata, una pratica svolta dalle testate giornalistiche serie e rispettabili, specificando che l’immagine proveniva da Mariupol e non da Irpin. Panorama, per le bufale sul conflitto (ne parliamo qui e qui) aveva rimosso gli articoli.