Il montone griffato, l’orologio da 36 mila euro, il tumore: i segreti del blitz che ha portato in carcere Matteo Messina Denaro

La caccia ad Andrea Bonafede. Le due operazioni e i 22 cicli di chemioterapia. La carta d’identità con timbro autentico. E l’ultimo colloquio con l’ufficiale dei Ros

L’indizio decisivo è stato un orologio da 36 mila euro. È quello il dettaglio che ha permesso l’arresto di Matteo Messina Denaro nella clinica La Maddalena a Palermo. Dove era entrato con il nome di Andrea Bonafede, nato a Campobello di Mazara il 23 ottobre 1963. E che frequentava da oltre un anno, dopo l’operazione che probabilmente gli ha salvato la vita. Messina Denaro era con il suo autista Giovanni Luppino. Che di mestiere fa il coltivatore di olive. Nel momento del blitz i due erano al bar vicino alla clinica. Un ufficiale dei Ros si è avvicinato ai due e ha chiesto a quell’uomo con gli occhiali scuri: «Lei è Messina Denaro?». «Lei lo sa chi sono», ha risposto il boss. Poi l’ammissione: «Sono Messina Denaro». Da lì l’arresto alle 8,20 del mattino. E la fine di trent’anni di latitanza per l’ultimo dei Corleonesi.


La caccia ad Andrea Bonafede

L’indagine sul boss di Castelvetrano comincia proprio con la caccia ad Andrea Bonafede. Da qualche mese l’Antimafia aveva puntato i riflettori sull’alias di Messina Denaro. Un’età quasi corrispondente a quella del boss. Un’operazione al colon nel 2020 in un’altra struttura siciliana e una a maggio 2022 nella sua cartella clinica. Ma, almeno la seconda, era impossibile. Visto che quel giorno il vero Bonafede era a casa sua. E le immagini delle telecamere di sicurezza del comune di Campobello di Mazara lo hanno immortalato mentre portava a passeggio il cane. Lui era il nipote di Nardo Bonafede, morto qualche anno fa ma a capo della famiglia locale. E legatissimo a Francesco Messina Denaro, il padre di Matteo. Un altro elemento è stato la visita specialistica all’occhio sinistro. E la patente di guida nuova con la sua foto. Messina Denaro aveva anche affittato una casa con l’identità di Bonafede. Mentre il timbro sulla carta d’identità del comune di Campobello era autentico.


L’autista Giovanni Luppino

Poi c’è il suo autista Giovanni Luppino. Incensurato e insospettabile, era diventato intermediario tra i produttori e gli acquirenti che venivano dalla Campania. Ma anche i familiari del boss stretti dalla morsa degli investigatori alla fine hanno fatto l’errore fatale. Parlando tra loro, pur sapendo di essere intercettati, hanno fatto cenno alle malattie del capomafia. L’inchiesta è partita da lì. E indagando sui dati della piattaforma del ministero della Salute che conserva le informazioni sui pazienti oncologici, si è riusciti a stilare una lista di pazienti sospettati. Bonafede risultava residente a Campobello di Mazzara in via Marsala 54. Professione: geometra. A interpretare la sua parte era un signore, dice oggi chi quella clinica ha frequentato in questi mesi, gentilissimo, elegante, col parlare forbito seppure con un accento trapanese, spesso con il foulard al collo come appare in una vecchia foto in possesso degli investigatori. E l’orologio Frank Muller al polso.

Il dettaglio decisivo

Quello il dettaglio decisivo, racconta oggi il Corriere della Sera. Insieme alla passione del padrino per gli abiti fïrmati è stata uno degli elementi acquisiti in anni di indagini. Il Fatto Quotidiano invece racconta oggi che Messina Denaro aveva subito un’operazione per cancro al colon nell’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo. Il suo medico curante, un dottore di Campobello, ha effettuato le prescrizioni di accompagnamento. Durante una risonanza magnetica i medici scoprono una metastasi al fegato. Cominciano quattro cicli di chemioterapia che portano il paziente a pesare 68 chilogrammi per 177 centimetri di altezza. Il 4 maggio 2021 la nuova operazione per altre metastasi. Alla fine dell’intervento il paziente avrebbe ringraziato lasciando alcune latte di olio extravergine di oliva ai sanitari. Dodici in totale i cicli di chemio nel 2021, dieci nel 2022.

«Un uomo elegante»

Le cronache lo raccontano come un uomo elegante, che in reparto aveva la giacca da camera, metteva soprabiti in pelle con camicie stile hawaiano. Aveva detto di avere due figlie che però vivevano fuori e di non avere altri parenti. Le restrizioni per il Covid non hanno fatto sorgere sospetti durante il ricovero. Anche i pazienti che lo hanno conosciuto lo ricordano come una persona affabile. A una donna che faceva chemioterapia con lui avrebbe pure chiesto il numero di cellulare. «Stavamo nella stessa stanza – ha raccontato – era una persona gentile, molto gentile. Ci sono anche mia amiche che hanno il suo numero di telefono, lui mandava messaggi a tutti. Ha scambiato messaggi con una mia amica fino a questa mattina». Aveva un telefonino. «Amo stare solo, mi piace vivere, mi piacciono le cose belle», diceva ai sanitari.

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