Serena Mollicone non fu uccisa dai Mottola: «Le impronte sul nastro adesivo sono di un altro uomo». Le motivazioni dell’assoluzione

Depositato il documento che ha disposto l’assoluzione per i tre componenti della famiglia Mottola e i due presunti complici. La verità va cercata altrove, scrivono i giudici

Assoluzione per tutti e cinque gli imputati. È la decisione presa lo scorso luglio dai giudici della Corte d’Assise di Cassino in merito all’omicidio di Serena Mollicone, la 18enne trovata morta il 1° giugno del 2001 in un bosco vicino alla caserma di Arce, in provincia di Frosinone. Oggi, a oltre sei mesi di distanza, la Corte ha depositato le motivazioni della sentenza. Un documento-fiume di 236 pagine con il quale i giudici danno conto delle ragioni del respingimento dell’intero impianto accusatorio ai danni degli imputati: Marco Mottola, 18enne all’epoca dei fatti, il padre Franco, maresciallo ed ex comandante della caserma, e la madre Anna Maria – per i quali la Procura aveva chiesto condanne tra i 21 e i 30 anni – insieme con i presunti complici Vincenzo Quatrale, all’epoca vicemaresciallo, e Francesco Suprano, accusati rispettivamente di concorso esterno in omicidio e favoreggiamento. Secondo il padre della ragazza, Guglielmo Mollicone (scomparso nel 2020), i Mottola avevano architettato e compiuto l’omicidio della figlia dopo che questa si era decisa a denunciare le attività di spaccio in cui era coinvolto il coetaneo ed ex amico Marco. Assolti «per non aver commesso il fatto», è invece la conclusione cui sono giunti i giudici. La ragione è presto detta: dal lungo processo non sono mai emersi «indizi gravi, precisi e concordanti sulla base dei quali possa ritenersi provata oltre ogni ragionevole dubbio la commissione in concorso da parte degli imputati» dell’omicidio di Serena Mollicone. Dopo lungo esame, la Corte non ha potuto che concludere che «numerosi elementi indiziari, costituenti dei tasselli fondamentali dell’impianto accusatorio del pm, non sono risultati sorretti da sufficiente e convincente compendio probatorio».


La porta della discordia

Tra gli elementi sostenuti dall’accusa e smontati in sede processuale, quello della presunta dinamica della morte della ragazza. Sarebbe stato un violento impatto contro la porta della caserma di Arce, secondo la Procura, ad ucciderla. Un’ipotesi non comprovata dalle perizie, fa notare il tribunale, che hanno sollevato seri dubbi sulla compatibilità di un impatto del genere con le ferite riscontrate sul volto e sulla testa della malcapitata. «Si ritengono convincenti – scrivono i giudici – le critiche formulate dai consulenti medico legali delle difese, i quali, valorizzando la prima consulenza tecnica
della dott.ssa Conticelli, hanno sostenuto l’incompatibilità tra il quadro lesivo presentato da Serena e l’impatto contro una superficie piatta e ampia (come una porta, appunto): ciò in particolare in assenza di altre lesioni, che siano oggettivamente indicative di una colluttazione, nonché dell’afferramento e della violenta spinta della vittima contro la porta». Per i giudici oltre tutto, «l’ipotesi dell’impatto della testa di Serena contro la porta non si ritiene neanche univocamente dimostrata dalle consulenze merceologiche e genetiche».


Nessuna evidenza di depistaggi

Per i giudici della Corte d’Assise di Cassino, non vi sono prove convincenti neppure dei presunti depistaggi compiuti dal maresciallo Mottola. Non soltanto «sono emerse delle prove che si pongono in termini contrastanti rispetto alla ricostruzione dei fatti da parte della pubblica accusa», ma addirittura alcuni tasselli dell’impianto accusatorio della Procura su questo fronte «si sono rivelati inconsistenti». Inoltre «sono emersi degli elementi a discarico dei singoli imputati».

Se non loro, chi?

Accertata l’impossibilità di attribuire ai Mottola e ai loro presunti complici la responsabilità dell’omicidio di Serena Mollicone, si spingono a dire i giudici nella sentenza, non resta che ripartire dalla casella di partenza: la ricerca dei reali esecutori del delitto. Resta infatti se non altro inconfutabile, scrive la Corte, come nel processo «siano emersi consistenti e gravi elementi indiziari nei quali si deve necessariamente desumere l’implicazione nella commissione del delitto in esame di soggetti terzi, che sono rimasti ignoti». Quali? Li indica la Corte stessa. Ci si riferisce «in primo luogo al rinvenimento di impronte dattiloscopiche all’interno dei nastri adesivi che legavano le mani e le gambe di Serena, impronte ritenute utili per l’identificazione e che non appartengono agli imputati. Su una impronta risulta essere stato rinvenuto un profilo genetico misto con contribuente maschile, di cui è stata esclusa la paternità degli imputati». Tutto da rifare, per dare un nome e un volto al o ai killer della 18enne: a partire da una lunga serie di indizi, se non altro.

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