Il Superbonus doveva finire, ma serve ancora una finestra fino al 31 marzo. Si salvino però i mini bonus per non mettere Ko famiglie e imprese

L’analisi degli esperti Antonio Longo e Angela Dulcetti di DLA Piper

Sul Superbonus e, più in generale, sui bonus edilizi, la politica è chiamata ad una prova di maturità nel cercare un equilibrio tra le doverose esigenze di salvaguardia dei conti pubblici e il legittimo affidamento e le ripercussioni economiche per migliaia di cittadini e imprese del comparto edile. Con il Decreto-legge 16 febbraio 2023, n. 11, entrato in vigore il 17 febbraio 2023 e ora sottoposto all’esame del Parlamento per la conversione in Legge, il Governo è intervento in maniera sostanziale sulla disciplina del Superbonus 110%, bloccando la cessione del credito e il cosiddetto sconto in fattura. A decorrere dal 17 febbraio 2023, infatti, è prevista la sola possibilità per i contribuenti di utilizzare le detrazioni fiscali derivanti dai bonus del comparto edilizio in dichiarazione dei redditi. Tali misure erano inizialmente previste dal c.d. Decreto Rilancio (il D.L. n. 34/2020, convertito con modificazioni dalla Legge n. 77/2020), in relazione alla galassia dei c.d. bonus casa, ossia superbonus, bonus ristrutturazioni, ecobonus, sismabonus, bonus facciate (ormai non più disponibile nel 2023), bonus per gli impianti fotovoltaici, bonus barriere architettoniche.


In particolare, lo sconto in fattura consiste(va), appunto, in una riduzione sul corrispettivo dovuto
all’impresa, di importo massimo non superiore al corrispettivo stesso, che veniva recuperato dallo stesso fornitore sotto forma di credito d’imposta di importo pari alla detrazione spettante. La cessione del credito d’imposta, invece, comporta(va) il pagamento effettivo dei lavori e la stipula di un accordo tra il contribuente, che cede(va) il credito maturato e il cessionario, il quale, in cambio del beneficio fiscale ricevuto, avvia(va) un piano di rimborso per restituire al contribuente il beneficio corrispondente alla detrazione fiscale. Un sistema largamente utilizzato da famiglie e imprese negli ultimi anni, che, da un lato, ha contribuito al rilancio dell’industria edile e dell’efficientamento energetico, ma dall’altro lato, ha anche generato comportamenti illeciti testimoniati da truffe per circa 6 miliardi di euro.


Il blocco del Governo ha, quindi, l’intento di “tutela della finanza pubblica” (ad oggi si stima un carico finanziario per ogni cittadino di 2.000 euro), formula, quest’ultima, evocata anche nel preambolo del decreto-legge recentemente approvato e che sintetizza la legittima preoccupazione del nuovo Governo circa la sicurezza dei conti pubblici. La data di decorrenza dell’abolizione, ossia dal 17 febbraio 2023, fa però salve le situazioni esistenti alla data antecedente all’entrata in vigore del provvedimento. In particolare, per i condomìni si guardano la Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata (Cilas) e l’adozione della delibera assembleare che approva l’esecuzione dei lavori. Inoltre, per i lavori relativi al superbonus, lo stop non opera per le unifamiliari per le quali sia stata presentata Cilas entro il 16 febbraio.

Cambia la disciplina per gli sconti diversi dal superbonus. In tal caso, entro il 16 febbraio sarà necessario aver presentato la richiesta di titolo abilitativo, se questa è prevista. Per gli interventi per i quali non sia prevista la presentazione di un titolo abilitativo, è necessario che i lavori siano già iniziati. A chiudere l’elenco di chi si salverà dalla stretta, ci sono poi il bonus per la compravendita di immobili ristrutturati al 50% e il sismabonus acquisti, per gli immobili demoliti e poi ricostruiti. In questi casi, la data del 16 febbraio è il termine per la registrazione del contratto preliminare o per la stipula del rogito. Nel caso di molti bonus minori, però, questo assetto rischia di mandare in fuorigioco migliaia di interventi e di imprese. Si pensi alle caldaie o agli infissi, per i quali di solito si sottoscrive un contratto, magari accompagnato da sconto in fattura, e si ordinano i materiali. L’avvio dei lavori arriva solo alla fine del processo, quando il fornitore è pronto per installare i beni. Con questa formulazione, chi ha ordinato i materiali ma non ha ancora eseguito nessuna opera rischia di restare senza cessione e sconto. Un problema rilevantissimo, dal momento che proprio per l’installazione di infissi e caldaie lo strumento dello sconto in fattura è stato largamente utilizzato.

L’intervento del Governo ha, inoltre, previsto il divieto di acquisto dei crediti parte delle P.A. e la revisione delle norme sulla responsabilità dei cessionari in solido con i cedenti. Quest’ultima norma ha la finalità di sbloccare l’ingorgo creato dai tantissimi crediti “incagliati”. Infatti, il meccanismo sinora applicabile ha fatto sì che, per paura di un coinvolgimento in tema di responsabilità da parte dei cessionari, i crediti venissero da questi ultimi rifiutati all’atto dell’acquisto rimanendo così bloccati in capo a committenti e fornitori. A quest’ultimo riguardo, si prevede che, ferme restando le ipotesi di dolo, non c’è concorso nella violazione e quindi responsabilità in solido da parte del cessionario del credito o del fornitore che ha applicato lo sconto se si dimostra il possesso di una lunga lista di documenti e asseverazioni relativi alle opere che hanno originato il credito di imposta. Inoltre, viene specificato che la mancanza della suddetta documentazione non costituisce, da sola, causa di responsabilità solidale per dolo o colpa grave del cessionario, il quale può fornire, con ogni mezzo, prova della “propria diligenza” o “non gravità della negligenza”.

Come anticipato, l’iter parlamentare è in corso e nei prossimi giorni potrebbero arrivare modifiche in sede di conversione in Legge del decreto, anche alla luce delle indicazioni delle associazioni di categoria interessate dalle norme che bloccano la cessione dei crediti e che rischiano di produrre effetti rilevantissimi non solo per il comparto dell’edilizia ma anche per i contribuenti interessati ai lavori di ristrutturazione. Invero, lo sconto in fattura e il credito d’imposta hanno sin ora consentito ai contribuenti c.d. fiscalmente incapienti, ossia quelli che per via del reddito basso o perché titolari unicamente di redditi soggetti a tassazione separata o a flat tax non avrebbero potuto beneficiare delle detrazioni, di accedere comunque agli interventi di ristrutturazione edilizia. Il rischio concreto, dunque, è quello di perdere la detrazione perché non si pagano abbastanza imposte.

La svolta ha preso forma, d’altronde, in una fase critica anche per i costi di gas ed elettricità e in cui la stessa Ue sta sollecitando con termini perentori la transizione ecosostenibile del parco edilizio. Il 9 febbraio scorso la Commissione europea ha firmato la bozza di direttiva che impone gli Stati membri di imporre a loro volta ai cittadini proprietari di case il raggiungimento della classe “E” entro il 2030, la “D” entro il 2033 e la neutralità assoluta entro il 2050, fatta eccezione per gli edifici di pregio artistico, storico, di culto, le seconde case e quelle con una superficie inferiore ai 50 metri quadrati. Un’opera ciclopica, insostenibile per le tasche dei cittadini senza un piano di incentivi serio e sostenibile.
Per il futuro bisognerebbe lavorare a incentivi non straordinari, ma stabili nel tempo e sostenibili. Nell’immediato una possibile soluzione da valutare potrebbe essere quella di spostare dal 17 febbraio a fine marzo la data entro la quale avere Cilas e la delibera di condominio per poter accedere alla cessione del credito e consentire a chi aveva già programmato i lavori di usufruire del regime. Sul monte crediti pregresso, per liberare capienza fiscale per gli istituti bancari, si potrebbe tra le altre cose ragionare sull’ipotesi della cartolarizzazione dei crediti ceduti.

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