Stretta dell’Aifa sulla vitamina D anti Covid, protestano i medici: «Continueremo a consigliarla»

La scelta dell’Agenzia italiana del farmaco si basa su nuove ricerche scientifiche, che escludono anche l’efficacia contro il Covid

Viene consigliata agli adulti sani e aiuta su più fronti, dalle fragilità alle ossa al controllo delle infiammazioni, ma ora l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha deciso di applicare una stretta ai medici sulla sua prescrizione. Scelta che ai dottori non è piaciuta. Sono stati aggiornati i criteri di appropriatezza in base a nuove evidenze scientifiche, le quali hanno definitivamente chiarito anche la mancanza di benefici contro il Covid come invece alcune voci presumevano ai tempi. «È basata su una logica economica, ma miope dal punto di vista clinico e della prevenzione. Studi sperimentali mostrano quanto la vitamina D sia importante per il buon funzionamento di diversi apparati, da quello immunitario a quello scheletrico. Il risultato è che noi continuiamo a consigliarla e i cittadini ormai quasi sempre la pagano per conto loro», ha dichiarato Annamaria Colao, presidente della Società Italiana di Endocrinologia (Sie). L’esperta ci tiene a riconoscere che l’utilizzo degli integratori a base di vitamina D è tra i temi più dibattuti nella comunità scientifica nella quale vi sono posizioni e controversie differenti.


Cos’è la vitamina D e a cosa serve

La vitamina che divide l’Aifa e la comunità medica viene consigliata per molte problematiche di salute. Per produrla, viene sintetizzata con i raggi del sole e questo ormone (colecalciferolo, calcifediolo) è diventato famoso anche come cura contro il rachidismo infantile, patologia legata a dolori alle ossa e alle articolazioni. «La Vitamina D in circolo nel sangue è un parametro di buona salute, mentre la sua carenza è legata a un elevato livello infiammatorio nell’organismo, con tutte le malattie collegate, dallo sviluppo di tumori, al peggioramento di obesità, diabete, ipertensione», spiega Colao. A prendere le difese della decisione è Nicola Magrini dell’Aifa, che sottolinea come già nel 2019 ci fu una limitazione nella prescrizione a carico del Sistema Sanitario Nazionale. Limite che portò a risparmiare diverse decine di milioni l’anno. Ora i livelli di ormone nel sangue per i quali la vitamina può essere prescritta sono stati abbassati nuovamente, sulla base di nuove ricerche scientifiche. In particolare, il riferimento è a uno studio pubblicato sul Nejm nel 2022 e uno su Jama nel 2020 dove si conclude che «la supplementazione con dosi di vitamina D più che adeguate e per diversi anni non riduce il rischio di frattura nella popolazione sana, senza fattori di rischio per osteoporosi».


La protesta degli endocrinologi

Ma secondo la presidente degli endocrinologi questi risultati scientifici «mostrano che da sola non previene fratture, e questo è vero perché la fragilità ossea può esser dovuta anche a carenze nutrizionali nel corso di tutta la vita e ad altre patologie, cosa che lo studio non considera». Secondo Colao anche le conclusioni sulla mancata efficacia contro il Coronavirus ha qualcosa da dire. «In questi stufi sono stati arruolati pazienti che si sono ammalati di Covid e a cui è stata data vitamina D in aggiunta alle terapie. La supplementazione non ha mostrato benefici, ma non stupisce che una cosa che serve alla prevenzione, se usata come cura, non abbia effetto».

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