La pioggia fermerà la pandemia? Strafalcioni tecnici e bugie politiche. Ecco le clamorose intercettazioni sulla gestione Covid-19 nei faldoni dei magistrati di Bergamo

Da Conte a Speranza, da Miozzo a Brusaferro, tanto i tecnici quanto i politici cercarono di coprire la loro inadeguatezza a rispondere all’emergenza della pandemia. Ecco come

Il messaggio Whatsapp è del 5 marzo 2020, ed è inviato a Maria Gramegna, dirigente medico della sanità lombarda nell’area della prevenzione. “Maria, scusa. Ma questa pioggia non potrebbe rallentare l’epidemia?”. A scrivere è Luigi Cajazzo, il massimo dirigente della sanità lombarda, deluso dalla risposta di Maria: “Tiene a casa la gente, per questo è utile, nulla di più”. Quel messaggio è fotografato nelle oltre 2 mila pagine di allegati dell’inchiesta della procura di Bergamo sulla gestione della emergenza Covid nel 2020 e sulla mancata zona rossa nella provincia bergamasca ad Alzano e Nembro. Non è naturalmente il messaggio più importante fra i tanti sorprendenti contenuti nel faldone, ma fa capire come proprio in quei giorni decisivi (i primi di marzo) chi aveva in mano la gestione dell’emergenza non avesse la benché minima capacità di comprendere la gravità della pandemia in corso. E si affidasse probabilmente alle letture liceali dei Promessi Sposi dove Alessandro Manzoni utilizza una pioggia catartica e fortemente simbolica per lavare via la peste.


Scelte politiche e pareri tecnici

Erano davvero pochi ad avere coscienza di quel che stava accadendo, e gli errori anche tragici che emergono dalla inchiesta sono davvero molti, forse non penalmente rilevanti (gli stessi pm propongono con cautela questo tema), forse inevitabili per scarsa esperienza. Ma comunque errori. Dopo avere letto tutte le carte mi sento di dire che forse la responsabilità maggiore non emerge dalla classe politica che si è trovata all’improvviso a governare una emergenza che non conoscevano. Forse chi fa riflessioni più di buonsenso e cerca sempre di promuovere soluzioni di cautela è proprio uno dei due principali imputati dell’inchiesta: l’allora ministro della Salute Roberto Speranza. Lui più di tutti spinge a chiudere prima di essere travolti completamente dalla tragedia, è lui a forzare la mano ai primi di marzo sia al presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro che indirettamente allo stesso CTS per evitare il contagio nelle scuole chiudendole tutte in tutta Italia (i tecnici erano contrari). Ci sono decine di sms a dimostrarlo.


L’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro della Salute Roberto Speranza

Giuseppe Conte compare meno in quelle carte e quasi mai direttamente: viene descritto preoccupato fin dal caso Codogno, e preoccupato nei giorni decisivi di marzo anche delle ragioni degli imprenditori che frenano sulle chiusure e sulle zone rosse, perché non vuole mettere ko il sistema economico italiano. Ma non ci sono messaggi o colloqui diretti. Non c’è dubbio che le decisioni siano state prese dal premier e dal suo ministro della Salute, e questo era naturale. I carteggi però dimostrano che nel momento più critico entrambi hanno forzato i tecnici a cambiare i loro pareri per adeguarli alle scelte prese dall’esecutivo. E così è accaduto (ad esempio sulla scuola). Meno naturale però che chi aveva fatto le scelte vere (Conte e Speranza) poi in pubblico non le abbia rivendicate, facendosi scudo delle decisioni “dei tecnici e degli scienziati” che in qualche caso addirittura la pensavano all’opposto.

Conte messo nei guai da un appunto di Miozzo

Il documento chiave puntato dai magistrati sulle responsabilità dell’ex premier Conte non è frutto di intercettazione o sequestro di messaggistica dei telefonini, e non è nemmeno un documento ufficiale. Si tratta infatti del verbale non previsto ufficialmente della riunione del Cts del 2 marzo 2020 alla presenza dell’allora presidente del Consiglio. A scrivere quegli appunti sulla riunione è stato l’allora coordinatore del CTS, Agostino Miozzo, che li ha consegnati alla magistratura di Bergamo il 18 giugno 2020. Quel giorno Miozzo scrive di aver citato davanti a Conte il caso di una casa di riposo dove si era diffuso il contagio e che il premier aveva dato indicazione di “cinturare la casa di riposo soltanto”. Sempre secondo gli appunti Conte avrebbe poi evidenziato che “zona rossa va usata con massima parsimonia, perché ha costo sociale, politico, non solo economico, molto alto. Occorre indicare misure che siano anche sostenibili, fattibili sul piano operativo”. Negli appunti di Miozzo si affronta anche la possibilità di istituire altre zone rosse in Lombardia e altrove. Ma Conte risponderebbe: “Devo capire se questa misura può avere effetto contenitivo reale. Anche in chiave comparativa rispetto ad altre situazioni. Ovvero: comparativamente mi dovete fare capire se fra qualche giorno ci dobbiamo poi aspettare di creare tutte zone rosse, quindi occorre valutare la sostenibilità nel tempo… nelle prossime due settimane”.

Quando il 12 giugno del 2020 Conte viene sentito come persona informata dei fatti dai magistrati di Bergamo sostiene di avere sentito per la prima volta parlare di ipotesi di zone rosse nel bergamasco solo “al termine del consiglio dei ministri del 5.3.2020”. I magistrati al momento della deposizione dell’allora premier non sono in grado di obiettare nulla. Ma quando sei giorni dopo ricevono il “verbale Miozzo” sulla riunione del 2 marzo, si sentono presi in giro. E si arrabbiano perché certi che le affermazioni di Conte “non corrispondono al vero”. Stessa cosa su un altro particolare della deposizione di Conte, che sposta sempre dopo il 5 marzo la sua conoscenza della gravità dei fatti nella bergamasca, mentre i magistrati sono in possesso di una mail inviatagli con molta chiarezza da Brusaferro e Giovanni Rezza il 4 marzo. Ad inguaiare Conte è pure la deposizione di Speranza che senza saperlo smentisce la versione del premier dicendo di avergli parlato della questione Alzano/Nembro sia il 3 durante i lavori Cts che il 4 marzo in un incontro faccia a faccia. Sono le bugie sul caso a spingere la procura a chiedere di valutare l’incriminazione dell’ex premier al tribunale dei ministri.

Speranza nega di partecipare al CTS e i pm scoprono che non è vero

Anche per Speranza l’atto di accusa muove essenzialmente su bugie contenute nella sua deposizione in procura il 12 giugno 2020. Quando i magistrati che hanno in mano documenti e verbali gli fanno presente che già nella riunione del 26 febbraio 2020 del CTS erano chiari i numeri fuori controllo di Alzano e Nembro, Speranza risponde categorico a verbale: “Io di regola non assisto alle riunioni del CTS e non ho partecipato, quindi, nemmeno a quella del 26.2.2020. Nessuno del CTS mi ha riferito quali fossero le ulteriori aree della Regione Lombardia cui si fa riferimento in quel verbale…”. I magistrati però hanno copia ufficiale di quella riunione del 26 febbraio dove era stata verbalizzata la presenza del ministro della Salute con tanto di firma autografa in calce. Non solo – scrivono i magistrati – “risulta che il ministro Speranza abbia partecipato nel periodo 21 febbraio/6 marzo 2020 a sei riunioni del CTS, ossia il 21, 22, 26, 27 febbraio nonché il 2 il 5 marzo”. Certo sia nel caso di Speranza che in quello di Conte i fatti citati dai magistrati sembrerebbero preludere a un avviso di garanzia per falsa testimonianza, e non per epidemia colposa che è invece l’ipotesi di reato loro addebitata.

Giuseppe Ruocco, ex segretario generale del ministero della Salute

Il superburocrate della Salute: mi fanno comprare tutto, ma io sono furbo e…

A parte il caso della pioggia in grado di portare via il virus a non fare una grande figura nella documentazione allegata all’inchiesta sono soprattutto burocrati e tecnici della Sanità italiana sia a livello regionale che a livello nazionale. Esemplare il “carteggio” (in realtà si tratta di messaggi whatsapp) fra il segretario generale del ministero della Salute, Giuseppe Ruocco, e una dirigente del ministero di cui viene riportato solo il nome di battesimo (Livia) fra il 19 e il 22 febbraio 2020. Si confida Ruocco all’amica: “ti ho raccontato tutte le pressioni in un senso e nell’altro e il Ministro che non decide. adesso devo stare concentrato se no mi fregano (…). Vogliono per forza farmi comprare prodotti sanitari per tutta l’Italia (…) gli acquisti devono essere giustificati e proporzionati comunque (…) volevano 150 medici, ne ho presi 77 (…) ma ora-sono certo – il prossimo vagone del treno sarà per Spallanzani e Iss (strutture, personale, farmaci, attrezzature) e lì devi stare … Furbacchioni, ieri ho detto a qualcuno che non ho le renne parcheggiate davanti casa . Se vogliono capire, capiscono. Ognuno vuol vendere qualcosa: disinfettanti etc . E poi ci sono i compensi dei “volontari”, l’indennità di 70 euro ai nostri.. (…) Poi torno a casa a e trovo ‘nu cazziatone di Sileri perché non l’avevo avvertito della riunione. Quello sfoga le frustrazioni su di me e mi ha minacciato. Ma stamattina gli urlo…”. Siamo all’inizio dell’emergenza e chi dovrebbe muoversi per proteggere il più possibile gli italiani sembra concentrato invece sui rischi personali.

Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità

Brusaferro sempre con il cappello in mano per il suo ISS

Non è molto diverso il continuo dialogo fra il presidente dell’Iss, Brusaferro e il ministro Speranza. Il 5 marzo 2020 è uno dei giorni più critici della gestione della pandemia: si stava decidendo la chiusura delle scuole, era sospesa la necessità di fare zone rosse nella bergamasca, si era alla vigilia del lockdown. Brusaferro però aveva una sola cosa in testa, e la butta lì a Speranza: “Scusa, ma come sta andando il tema risorse ISS? Si riesce a includere il tutto?”. Il ministro lo tranquillizza: “Resistono ma troveremo modo. C’è un ok politico. Dobbiamo capire se strutturale o sei mesi”. E Brusaferro: “Grazie di cuore. Ovviamente meglio strutturale anche per organizzare un sistema stabile partendo anche da questa esperienza. Grazie ancora per il supporto”. Il 7 marzo Brusaferro torna all’attacco: “Scusa, è stato cassato il testo per ISS definitivamente? Ci sono margini?”. Speranza lo tranquillizza, e quella agognata somma viene stanziata in un provvedimento due giorni dopo. Ma evidentemente non basta. Il 14 giugno successivo Brusaferro invia per whatsapp la fotocopia di un emendamento parlamentare a prima firma del Pd Matteo Orfini che assegna all’ISS stabilmente l’1,4% delle risorse del fondo sanitario nazionale per incrementare “le spese correnti di funzionamento”.

E poi va all’attacco del ministro: “Buonasera. Ti disturbo perché mi hanno segnato che domani sarebbe in discussione questo emendamento. Tutto ISS (ed anche io con loro) sarebbe molto felice e grato se potesse trovare anche il sostegno tuo per potere essere approvato. Se ritieni sia possibile e serva un mio intervento sono a tua completa disposizione. Ti ringrazio in anticipo per quanto potrai fare e ti auguro una buona serata”. Da lì in poi sembra quasi una azione di stalking nei confronti del povero Speranza. Il 15 giugno Brusaferro scrive: “Ciao. Hai per caso notizie dell’emendamento? Grazie”. Il 16 giugno altro messaggio di Brusaferro: “Sul tema emendamento ISS (risorse) mi dicono che sia all’esame della commissione bilancio. Se posso fare qualcosa ti sarei veramente grato se mi potessi dare delle indicazioni. Grazie ancora. Silvio”. Il 17 giugno il presidente dell’ISS non molla Speranza: “Ho sentito Giammusso del MEF e mi ha detto che verificava ma mi pare sostenga la proposta. Da quello che so in commissione l’emendamento è stato sospeso (da come capisco ancora recuperabile). Ho trasmesso Giammusso di sentirti e che tu eri favorevole. Grazie”.

Marcello Minenna, ex direttore dell’Agenzia delle Dogane

L’incredibile palleggio sui termometri fermi in dogana

A fare capire ancora meglio il naufragio della nostra burocrazia sanitaria, del tutto inadeguata al dramma che l’Italia e gli italiani stavano vivendo è un messaggio inviato a Speranza il 5 giugno e dal ministro girato al suo capo di gabinetto. Ad inviarlo è un certo Marcello che sembra essere l’allora direttore della Agenzia delle Dogane Marcello Minenna: “Carissimo Roberto, mi pare che tu sappia l’evoluzione di quella banalissima richiesta del 17 maggio per i termometri. La dottoressa Coccoluto ha interagito con un mio dirigente. Dopo 8 giorni di mancati riscontri sono intervenuto e mi è stato detto di parlare con il dott. Rezza. Dopo altri 5 giorni mi ha chiamato Zaccardi ‘rimproverandomi’ per non avere parlato con lui. Poi dopo altri 5 giorni mi ha detto di risentire Rezza. Poi Rezza ha detto di rivolgersi a Dionisio. E dulcis in fundo Dionisio ha detto al mio dirigente di rivolgersi a Zaccardi. Se non ci fosse un’emergenza sanitaria come questa, questo gioco dell’oca tipico della ‘migliore’ Pubblica amministrazione sarebbe anche da ridere. Intanto i depositi doganali scoppiano di termometri che presso i negozi scarseggiano. Scusami la franchezza, so che con te posso permettermela. Io però a questo punto non so come procedere oltre…”.

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