Il 42% degli under 14 vorrebbe essere come appare sui social: «La frustrazione riguarda maschi e femmine allo stesso modo» – L’intervista

Uno studio dell’università di Cassino ha analizzato le modalità di utilizzo e di fruizione social su un campione di 2378 ragazzi e ragazze di età compresa tra gli 11 e i 13 anni. Ne abbiamo parlato con il coordinatore

Se i giovanissimi di una volta puntavano a trasformarsi nei loro idoli, che fossero rockstar o attrici del piccolo schermo, sembra che adesso siano più propensi a seguire l’antico precetto che suggeriva: «Diventa ciò che sei». Riadattato in: «Diventa ciò che sei quando indossi i filtri di Instagram o TikTok». Questo, almeno, è uno degli aspetti che emerge dalla ricerca dell’Università di Cassino dal titolo: Corpi Duplicati: l’utilizzo dei social media tra gli under 14. Lo studio ha analizzato le modalità di utilizzo e di fruizione dei contenuti e delle piattaforme virtuali osservando un campione di 2378 ragazzi e ragazze di età compresa tra gli 11 e i 13 anni. In che modo queste giovanissime generazioni si rapportano ai social? E, specularmente, in che modo la vita virtuale incide nel loro processo di crescita e maturazione? Cosa sta cambiando rispetto al passato, e quali pericoli si trascina dietro questa evoluzione? Abbiamo provato a chiederlo a Simone Digennaro, coordinatore della ricerca e presidente dei corsi di laurea in scienze motorie presso l’università di Cassino e del Lazio Meridionale».


Professore, quali sono i principali risultati emersi dal vostro lavoro?

«Partiamo con un dato di fatto, relativo alle percentuali molto elevate di utilizzo: circa il 90% dei giovani usa social media come Instagram e Tiktok, mentre per le app di messaggistica istantanea – come Whatsapp – la percentuale sale al 99%. Tra il 40 e il 50% dei casi, i ragazzi hanno profili pubblici: tutto quello che postano è alla portata del mondo. Condividono contenuti anche legati alla loro vita privata, che circolano liberamente nella rete. Spesso nella totale inconsapevolezza delle conseguenze di queste azioni, oltre che dei genitori o degli adulti di riferimento. Può capitare che riescano ad aggirare la loro supervisione creando sia profili pubblici, controllati, che privati, o su social che i genitori non conoscono. Infine, è emersa la cosiddetta «sindrome dei corpi multipli»: una tendenza che li porta a considerare il proprio corpo come una somma di rappresentazioni da adattare e modellare a seconda dei propri gusti e desideri».


Questo cosa comporta?

«I social ruotano attorno alle immagini, e dunque vengono veicolati una serie di modelli socio-culturali legati al volto e al corpo. Questa non è una novità, ma gli effetti si acuiscono nei pre-adolescenti, che sono in una fase di costruzione della loro identità. L’elemento rilevante, che ci ha portato a riflettere, è stato che nel 42% dei casi i soggetti esaminati ci hanno detto che vorrebbero essere come appaiono sui social, soprattutto le ragazze. Per esempio, poco tempo fa era diventato molto popolare un filtro che trasformava il volto aggiungendovi delle lentiggini: molte ragazzine hanno iniziato a disegnarsele anche nella vita reale. Mentre in passato ci sono stati sempre modelli e punti di riferimento dal punto di vista estetico, il fenomeno era meno vorticoso. Adesso è un turbinio incessante».

@valentinaacapriatii

Dismorfofobia<<<

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Quali sono i rischi?

«A differenza di quanto accade in America, è difficile che questo desiderio di migliorare la propria estetica si traduca in interventi chirurgici: in Italia è obbligatorio ottenere il consenso dei genitori, nel caso dei minorenni. Ma quando mi espongo online dietro la maschera di un filtro, per esempio il Bold Glamour di TikTok, e ottengo gratificazione, vorrei che questo senso di approvazione rimanesse anche al di fuori dagli schermi. Quando non succede, possono scatenarsi diversi effetti. Difficoltà ad accettarsi, nel migliore dei casi. Nei peggiori, frustrazione, ansia, disturbi di tipo alimentare, problemi legati al sonno-veglia, rappresentazione distorta della propria immagine corporea…».

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Si può tracciare l’identikit dei soggetti più vulnerabili a questo tipo di meccanismo?

«La cosa che potrebbe sorprendere è che le ragazze non sono molto più colpite dei ragazzi. Anche loro oggi sono molto frustrati dal loro aspetto. Il fatto che i social siano pensati per maggiorenni, o comunque soggetti più grandi, li porta ad entrare in un mondo che non hanno ancora gli strumenti per comprendere. Ma non riguarda solo l’aspetto estetico: i social spingono al confronto costante con i propri coetanei, che magari hanno successo, vantano centinaia di migliaia di followers, sono apprezzati dai compagni… e spesso lo scontro con la realtà è deludente. Per esempio, osservare un 13enne che ha 1 milione di iscritti su YouTube sprona i suoi coetanei ad emularlo, nella speranza di ottenere lo stesso successo. Magari qualcuno si cimenta nell’impresa, ma anziché un milione di iscritti ne colleziona due. E allora arriva la frustrazione. Spesso dovuta anche a una componente economica: il successo sui social è spesso legato ai viaggi, ai vestiti, ai trucchi che ci si possono permettere. Chi viene da famiglie con meno disponibilità non può che uscire sconfitto dal confronto, ma questo fattore non viene adeguatamente preso in considerazione. C’è, insomma, molta sofferenza. La società se ne accorge solo con eventi eclatanti, come cryberbullismo, suicidi, autolesionismo… Ma in realtà il fenomeno è più sotterraneo, è più viscido».

@sarellaaaaa2 mi ha tolto tipo 50kg la mia dismorfofobia:☠️☠️ #perte #fyp ♬ Originalton – ᥫ᭡

Le piattaforme incoraggiano questo tipo di comportamenti?

«Tendono a lavarsene le mani, proponendosi come contenitori che non hanno controllo sul contenuto, come zone neutre che non hanno responsabilità su quello che le occupa. Alcune, come Meta, hanno cominciato a cercare di porre freni rispetto alle pubblicazioni. Ma anche in questo caso l’intervento è parziale: la pagina che inneggia al fascismo è facile da individuare, viene bloccata e si offre l’illusione di aver fatto pulizia. Il discorso diventa più scivoloso, però, per quanto riguarda i messaggi che non hanno una chiara connotazione negativa, come l’ostentazione della famiglia ideale che condivide la propria vita meravigliosa, o del corpo perfetto sfoggiato dalla fotomodella di turno. E poi, c’è un altro tema legato alla sovrabbondanza di informazioni, spesso contraddittorie. Da una parte si afferma che ‘curvy è bello’, dall’altra che per avere successo bisogna rispettare determinate misure. Un profilo incoraggia a non truccarsi, un altro insegna a realizzare raffinati make-up. Insomma, si ricevono messaggi e contro-messaggi, e questo ovviamente confonde le idee».

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Come arginare, allora, i risvolti negativi del fenomeno?

«Su questo ci siamo interrogati tanto. La soluzione più semplice è consigliare: “Smettetela di andare sui social così giovani, fatelo quando sarete più grandi e avrete più strumenti per scegliere in piena autonomia”. Ma abbiamo ampi dubbi sull’efficacia di questo ragionamento: basti pensare che la legge italiana prevede che l’uso dei social cominci dai 14 anni. Mentre per gli strumenti di messaggistica istantanea l’età minima è addirittura alzata a 16. Ciononostante i giovani utilizzano diversi escamotage: favoriscono finte generalità, utilizzano i profili dei genitori. E così riescono ad aggirare il divieto. C’è dunque bisogno di un’azione a 360 gradi, che coinvolga anche le scuole, i genitori: bisogna fornire ai ragazzi gli strumenti adatti per orientarsi nel mondo virtuale come in quello reale. Si insegna loro ad allontanarsi dal pericolo, a presentarsi agli sconosciuti, ad essere educati. Bisogna allo stesso modo dialogare con loro e indirizzarli ai comportamenti più giusti da adottare, anche online. Anche perché sembra che l’età media si stia abbassando sempre di più. Abbiamo riscontrato che l’ingresso ai social avviene con l’ottenimento del primo cellulare, che di solito viene regalato alla comunione. Un rito laico e religioso che si intersecano: adesso sempre più bambini accedono per la prima volta ai social in quarta, quinta elementare».

Cosa è cambiato rispetto alle generazioni precedenti?

«Ci siamo fatti l’idea che le generazioni precedenti considerassero i social uno spazio su cui portare un pezzo della propria realtà, solitamente edificante. Un viaggio, una novità a livello sentimentale o lavorativo… erano una sorta di vetrina dove far confluire la parte migliore della propria esistenza, dal reale al virtuale. Invece adesso è come se fosse cambiata la direzione: i giovanissimi cercano di trasporre quello che vivono nel virtuale, nel reale. Come nel caso dei filtri. E il rischio è perdere di vista se stessi e la propria identità. Non aiuta, in questo contesto, il fatto che i confini siano ormai sfumati: le interazioni che avvengono online, sono vissute in maniera reale. Adesso inoltre non si fa più alcuna selezione: viviamo in quella che è stata definita dalla sociologia la “società della trasparenza”, dove l’intimità è stata ridotta ai minimi termini. E vengono esposte anche le parti negative che prima si tendeva ad omettere».

A cosa è dovuto questo totale abbandono allo sguardo altrui?

«A diversi fattori. Da un lato, interviene il concetto di “iper-realtà”, secondo cui il mondo virtuale non è più un’appendice della mia vita, ma parte integrante della stessa, nel bene e nel male. Dall’altro lato c’è anche la volontà di ottenere un riconoscimento, di sentirsi al centro dell’attenzione, di uscire dall’isolamento. Se pubblico una foto che mi ritrae in un momento particolarmente negativo o di difficoltà, la speranza è anche quella di ottenere il sostegno e la solidarietà degli altri. Ma spesso ci si dimentica che sono sentimenti tanto effimeri quanto fittizi: magari chi mette “il like”, che viene interpretato come una validazione, lo fa di sfuggita, mentre si sta facendo la barba».

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