Israele, Netanyahu congela la riforma della giustizia: revocato lo sciopero generale. Le opposizioni: «Aperti al dialogo» – I video

Gantz e Lapid hanno risposto positivamente al rinvio all’estate del progetto dell’esecutivo, ma assicurano: «Non faremo compromessi sui principi della democrazia»

Le imponenti manifestazioni di piazza e le tensioni degli ultimi giorni hanno infine convinto il primo ministro Benjamin Netanyahu a congelare la contestata riforma della giustizia. Il premier, nell’annuncio ufficiale arrivato in serata, ha anticipato che ci riproverà in estate: «Giungeremo a un accordo, ma abbiamo bisogno di tempo». E stando a quanto riferisce The Jerusalem Post, Ben-Gvir – che alle prime indiscrezioni sul rinvio della riforma aveva minacciato di far cadere il governo – avrebbe ottenuto una contropartita pesante sul fronte della gestione della sicurezza: la formazione di una Guardia Nazionale che risponderebbe direttamente a lui. Ma intanto la mossa del premier sembra aver disteso gli animi. Sia Benny Gantz, leader del partito centrista Mahane Mamlachti, sia Yair Lapid, leader del partito centrista Yesh Aitd, hanno aperto a un dialogo sotto l’egida del presidente Isaac Herzog. «Sosterrò ogni iniziativa giusta di dialogo, ma non faremo compromessi sui principi della democrazia», ha sottolineato Gantz. Anche l’organizzazione sindacale Histadrut ha accolto positivamente la decisione di Netanyahu, annunciando la fine immediata dello sciopero generale.


Il dietrofront

Soltanto questa mattina, diffusasi la voce che Netanyahu era pronto ad annunciare lo stop al provvedimento che ha fatto infuriare le piazze, Ben-Gvir era andato su tutte le furie, minacciando di far cadere il governo se il premier avesse dichiarato la «resa di fronte alle violenze nelle strade». Poi però hanno raggiunto l’intesa: secondo quanto ha riferito il partito di ultra-destra, l’accordo prevede che la riforma del sistema giudiziario sia congelata e rinviata all’estate. In cambio, Ben-Gvir avrebbe ottenuto una contropartita pesante sul fronte della gestione della sicurezza: la formazione di una Guardia Nazionale che risponderebbe direttamente a lui. Ben-Gvir, leader dell’ultra-destra, aveva inaugurato il suo mandato da ministro di peso del governo-Netanyahu lo scorso 3 gennaio recandosi, scortato da decine di agenti, sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme, che per gli ebrei è il Monte del Tempio. L’Autorità Nazionale Palestinese aveva immediatamente condannato «l’incursione», definita «una provocazione senza precedenti e pericolosa».


Sciopero generale e manifestazioni contrapposte

All’indomani di una notte storica in Israele, dove centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza in in tutte le principali città in manifestazioni spontanee convocate via WhatsApp, il Paese è entrato in un subbuglio sociale e politico senza precedenti. A scatenare l’ira di parte della popolazione è stata l’ennesima mossa azzardata di Netanyahu, che ieri ha licenziato il ministro della Difesa Yoav Gallant dopo che questi aveva rotto l’unità all’interno del governo, chiedendo di ritirare la contrastatissima riforma della giustizia. Dopo una notte di proteste in tutto il Paese, con la polizia impegnata a disperdere i manifestanti che avevano bloccato l’autostrada Hayalon, nelle prime ore del mattino il presidente della Repubblica Herzog ha chiesto al premier di fermare l’iter della riforma – il cui passaggio finale in Parlamento sarebbe previsto per questa settimana – perché questa «indebolisce il sistema giudiziario».

Un pressing che sembrava aver avuto successo: Netahyahu aveva infatti annunciato che avrebbe parlato alle ore 10.30 italiane, e la stampa israeliana ha scritto che era pronto ad annunciare lo stop alla riforma. Ma il discorso è stato rinnovato dopo che l’ala destra della maggioranza si è rivoltata contro il possibile ritiro della legge. Itamar Ben Gvir, leader del partito di estrema destra Potenza ebraica e ministro per la sicurezza nazionale, ha minacciato di dimettersi e far cadere il governo se il premier avesse proceduto con l’annuncio. Ben Gvir, riportano i media israeliani, ha affermato che il significato di un arresto della riforma sarebbe «una resa di fronte alle violenze nelle strade». Senza il suo partito, Netanyahu perderebbe la fragile maggioranza su cui può contare alla Knesset, il parlamento israeliano. Fonti vicine al premier citate dall’agenzia di stampa Agi riferiscono che la decisione di ritirare la riforma è stata già presa. Ma fervono in queste ore contatti e negoziati.

Paese in fermento

La “corrente elettrica” democratica ha però ormai contagiato interi settori del Paese. Sono 80mila, secondo le stime della polizia, gli israeliani che oggi sono scesi in piazza davanti alla Knesset per protestare contro il governo. Sul palco si sono alternati i principali leader dei partiti di opposizione, fra cui Yair Lapid, Benny Gantz e Avigdor Lieberman. La manifestazione sembra essersi svolta in modo tutto sommato pacifico. Due persone, però, sono riuscite a intrufolarsi nel parlamento e a protestare davanti al ministro dell’Educazione Yoav Kish, gridandogli di dimettersi. I due manifestanti sono poi stati allontanati dagli agenti di sicurezza.

Chiudono le ambasciate

Alla protesta di piazza si somma poi lo sciopero generale indetto dal leader del principale sindacato israeliano, Arnon Bar David, poi ritirato dopo l’annuncio arrivato in serata del rinvio della riforma. «Questo è il Paese dei cittadini, di tutti i cittadini. Non lasceremo che sprofondi nell’abisso», ha dichiarato Bar-David. Messaggio immediatamente recepito dai lavoratori dell’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, il principale del Paese. Il leader del sindacato dei dipendenti degli aeroporti israeliani Pinchas Idan aveva annunciato infatti lo stop immediato di tutti i decolli. E a seguire anche il sindacato che rappresenta i medici del Paese aveva annunciato di aver aderito allo sciopero, avvertendo che il sistema sanitario sarebbe rimasto «congelato con effetto immediato» fino al ritiro della riforma. Ancora più clamorosa è l’adesione allo sciopero dei dipendenti del governo, che ha portato alla chiusura di diverse ambasciate in tutto il mondo. Anche l’ambasciata israeliana a Roma ha annunciato su Twitter che da oggi resterà chiusa e non saranno forniti i servizi consolari.

La contro-manifestazione

Le pressioni su Netanyahu e gli altri partiti di maggioranza non arrivano solo dai manifestanti contrari alla riforma della giustizia. Dalle 17 ora italiana, a Gerusalemme si è tenuta anche una manifestazione di sostegno al governo organizzata da movimenti della destra radicale. Alla protesta hanno partecipato almeno due ministri del governo di Netanyahu: si tratta del già citato Ben Gvir e del ministro delle Finanze – e leader di Sionismo religioso – Bezalel Smotrich. «Non dobbiamo fermare per alcun motivo la riforma. Siamo la maggioranza: non dobbiamo arrenderci alla violenza, all’anarchia, agli scioperi selvaggi, alla disobbedienza», ha scritto il ministro su Twitter. Alla manifestazione ha aderito anche il gruppo «La Familia», il club degli ultras della squadra di calcio del Betar Gerusalemme. «Non intendiamo farci rubare il risultato delle elezioni» del primo novembre 2022, spiega il gruppo di ultras che in passato si è reso protagonista di numerose risse negli stadi di calcio. Nelle strade della capitale, la tensione è palpabile. Al punto da spingere lo stesso Netanyahu a predicare la calma. «Invito tutti i manifestanti a Gerusalemme, a destra e a sinistra, a comportarsi in modo responsabile e a non agire con violenza. Siamo persone fraterne», ha scritto il premier israeliano su Twitter.

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