«Non è un Paese per chi muore solo»: la denuncia degli amici di Mario, che da tre mesi attende una degna sepoltura

In una lunga lettera, puntano il dito contro «il pressappochismo, l’approssimazione, l’indolenza, quando non la malafede e la connivenza di chi gestisce la cosa pubblica»

«Non è un Paese per chi muore solo»: inizia così il racconto della storia di Mario Campagnano, una disavventura iniziata dopo il suo decesso, avvenuto tre mesi fa. Le sue spoglie non hanno ancora trovato sepoltura, a causa «del pressappochismo, dell’approssimazione, dell’indolenza, quando non della malafede e della connivenza di chi gestisce la cosa pubblica». A denunciare sono i suoi amici, in una lunga lettera. Tutto inizia con la morte di Mario, avvenuta in solitudine: il suo corpo è stato ritrovato dai carabinieri, che hanno forzato la serratura di casa dopo che alcuni dei suoi amici li avevano chiamati preoccupati dall’inusuale ritardo a un appuntamento. Da lì, «la polizia mortuaria se l’è portato via, all’obitorio. Avrebbe dovuto aspettare lì, ci hanno detto, finché non fosse giunto il provvedimento di un giudice a consentire l’intervento da parte del tutore del suo parente più prossimo. Noi amici non potevamo fare nulla».


Tre mesi di angoscia

Un’autorizzazione, dopo tre mesi, ancora non pervenuta, mentre cresceva la preoccupazione dei suoi affetti, che senza di essa non potevano farsi consegnare il corpo. Alla fine, dopo circa dodici lunghe settimane, la situazione si è finalmente sbloccata: «La salma è stata consegnata al parente più prossimo e a noi tutti e, finalmente, il primo d’aprile, in un bel pomeriggio di sole primaverile, Mario ha avuto la cerimonia di saluto che meritava e noi tutti abbiamo potuto stringerci in un abbraccio attorno a lui. E’ stato un bel momento, che non dimenticheremo». «Ma – proseguono – purtroppo, non dimenticheremo nemmeno quello che ne è seguito, perché non è finita qui!». Alla cerimonia funebre, infatti, non è seguita la sepoltura: la cappella di famiglia non era disponibile «per cause di forza maggiore intervenute all’ultimo momento», e dunque si rimanda tutto di dieci giorni. Passati i quali, amici e familiari si danno nuovamente appuntamento, al cimitero Flaminio. Sperando che fosse l’ultimo atto di questa travagliata vicenda.


Il gancio mancante

Ma sbagliavano: al posto del loro amico hanno visto arrivare l’impiegato dell’impresa funebre alla quale si erano rivolti, «a dirci che non lo potevamo seppellire, perché al personale dell’Ama mancava un gancio di sicurezza di cui ci si serve in questi casi per calare il feretro». A fronte dello sconcerto generale: «Non è forse il mestiere dell’Ama tumulare i corpi al cimitero? E di sicuro Mario non sarà stato l’unico a dover essere sepolto in cripta. Come si giustifica l’assenza della strumentazione adatta?»si legge ancora nella lettera. Che aggiunge: «Qualcuno ha detto che l’attrezzo era rotto: va bene, ma possibile che ce ne fosse uno solo? E anche in questo caso, a maggior ragione, non si doveva provvedere immediatamente a sostituirlo con uno funzionante? E anche volendo ammettere, per assurdo, che non fosse facile reperirlo, non si dovevano forse avvertire per tempo parenti e amici, invece di aspettare che si radunassero tutti davanti alla cappella, magari dopo un viaggio di ore, per rimandarli tutti a casa, dopo un’odissea durata tre mesi, e con prossimo appuntamento a data da destinarsi?».

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