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Cosa c’è nella nuova indagine della procura di Roma sulla scomparsa di Emanuela Orlandi

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È stata una segnalazione del Vaticano ad attivare piazzale Clodio. Il procuratore Diddi aveva anche parlato di «cose inedite» e non ancora chiare

È stato il Vaticano a far aprire alla procura di Roma una nuova indagine sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. I “pm” che indagano Oltretevere sulla cittadina vaticana sparita il 22 giugno del 1983 hanno inviato una serie di documenti che potrebbero dare un nuovo impulso alla soluzione del caso. E visto che la Santa Sede può indagare soltanto su ciò che è territorialmente di sua competenza, non si può andare molto lontano dal vero se si ipotizza che in quei documenti ci sono segnalazioni che riguardano cittadini italiani. Il Vaticano ha sempre sostenuto di non aver indagato con i suoi inquirenti sulla scomparsa di Emanuela Orlandi perché questa non è avvenuta nel territorio della Santa Sede. Quello che è arrivato a piazzale Clodio, quindi, è di competenza territoriale della procura di Roma.

I documenti

Cosa ci sia nei documenti inviati dal Vaticano alla procura di Roma è adesso coperto da segreto istruttorio. La procura non ha specificato se ha aperto un fascicolo conoscitivo o se ci sono già indagati. Il promotore di giustizia vaticano Alessandro Diddi non ha voluto far sapere nulla. Ma forse, per cominciare a ipotizzare di cosa stiamo parlando potrebbe essere utile mettere insieme due affermazioni. Una è di Diddi e risale a oltre un mese fa. In un’intervista rilasciata a Lazio Tv Diddi ha parlato delle carte della Orlandi. Prima ha spiegato che non sarà facile districarsi tra i tanti depistaggi nel caso. Poi ha detto che auspica che un giorno si possa dare completa visibilità al suo lavoro di studio di carte. Infine, ha affermato che tra le carte ci sono «cose anche inedite che spero che un giorno si possano svelare». E ha aggiunto di essere rimasto «sorpreso» di alcune cose: «Pensavo che fossero chiarite invece non lo sono state».

Le parole e le cose

Un altro elemento che può contribuire alla soluzione del giallo lo ha fornito il procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi. Il 21 aprile scorso, parlando con gli alunni della scuola Don Bosco di Palermo, ha detto: «Dopo 40 anni non solo non è facile trovare elementi, ma nemmeno fare le pulci alle attività svolte dagli inquirenti dell’epoca perché ogni situazione, ogni indagine va contestualizzata. Non è da escludere che sarà coinvolta nuovamente la Procura di Roma, motivo per cui non posso parlarne». Il riferimento al “fare le pulci” sembra essere collegato ad accertamenti e indagini a partire dal giorno della scomparsa. Ad avvicendarsi nelle inchieste sulla scomparsa di Orlandi sono stati molti magistrati. La prima a indagare è stata la pm Margherita Gerunda. Che stava seguendo piste tradizionali sul caso prima che le fosse tolto di mano.

Le indagini

Poi, dopo l’irruzione di Papa Wojtyla con l’appello dal balcone di San Pietro, in scena è andata la pista del “terrorismo internazionale”. E le indagini sono passate in mano a Domenico Sica. Da lì a Ilario Martella. Entrambi hanno lavorato sulla tesi del rapimento a scopo di ricatto del Vaticano. Successivamente sono entrati in scena il sostituto procuratore generale Giovanni Malerba e la giudice istruttrice Adele Rando. Che soltanto alla fine degli Anni Novanta ha deciso per l’archiviazione del caso. Entrambi i giudici hanno spiegato che la tesi del rapimento è sembrata sempre un depistaggio o un metodo per far entrare in scena mitomani e disagiati mentali. Senza però riuscire a venire a capo delle indagini. Forse il procuratore Lo Voi si riferisce proprio a questi anni di indagini quando parla di necessità di “fare le pulci” alle attività svolte dagli inquirenti dell’epoca.

Le carte degli Orlandi

Il 12 aprile scorso Diddi ha ascoltato il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi. Il quale ha consegnato alcune carte in suo possesso. Una di queste è la famigerata “lettera” dell’arcivescovo di Canterbury al cardinale Poletti, che è falsa. Poi ha anche fornito una chat su Whatsapp che risale ai primi anni del pontificato di Papa Francesco. In questa chat compare il cardinale Santos Abril y Castellò, presidente della commissione cardinalizia di vigilanza dello Ior e arciprete emerito della basilica di Santa Maria Maggiore. Ma pare difficile che quelle segnalazioni siano oggetto delle indagini di oggi della procura di Roma. Proprio per una questione di competenza territoriale.

Il giorno della scomparsa

Tutte queste tesi, comprese le fragili piste vaticane, avranno una conclusione positiva solo ed esclusivamente se riusciranno a collegarsi in maniera credibile con gli unici fatti certi che riguardano Emanuela Orlandi. La “Vatican Girl” è sparita a Roma il 22 giugno 1983 dopo le 19 a Corso Rinascimento, la strada che passa davanti al Senato della Repubblica e collega piazza delle Cinque Lune con Sant’Andrea della Valle. A due passi c’è piazza Navona. Si tratta di zone frequentatissime all’epoca come oggi. È impossibile pensare che una persona venga “rapita” con la forza in un luogo del genere senza che nessun testimone si accorga di nulla. La famiglia poi l’ha sempre dipinta come diffidente e restìa ad accettare passaggi persino da persone conosciute. Se quindi è vero che Emanuela Orlandi è scomparsa in quella circostanza, deve aver incontrato qualcuno di cui si fidava.

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