Cosa significa essere persone Lgbtq+ fuori dalle grandi città – La videoinchiesta

Tra voglia di fuggire da realtà a volte asfittiche e scelte di tornare per sentirsi comunque se stessi, Open ha raccolto le storie di Thomas, Lavinia e Gioele, per raccontare il mondo queer anche dove non arrivano i Pride

Sabato 10 giugno, le strade della Capitale sono state investite da una tempesta arcobaleno: il Roma Pride 2023 è stato un indiscusso successo, oltre che un trionfo di gioia, musica e «QueeResistenza». Altri si sono svolti in contemporanea (da Genova a Messina), e altri ancora seguiranno nella celebrazione del Pride Month. Ma lontano dai grandi centri, in cui i luoghi di aggregazione sono tanti e l’espressione individuale si libera dal peso degli schemi tradizionali, ci sono i piccoli paesi, le province, dove il tempo scorre a una velocità diversa. Dove i pregiudizi sono spesso più duri da superare, e le conquiste nel campo dei diritti civili non sono poi così scontate. Thomas, ragazzo transgender di 19 anni, lo sa bene: «Stavo camminando, quando sono arrivati a bordo di una macchina. Mi hanno tirato un sasso in faccia, insultandomi, poi sono tornati per aggiungere ‘Magari riaprissero i forni crematori’», racconta a Open.


Le aggressioni

Thomas vive a Cisterna, in provincia di Latina. E non ha dovuto fare i conti solo con queste discriminazioni, più brutali, ma anche con commenti più sottili e ordinari: «Ho lasciato scuola. Mi piaceva molto studiare, avevo voti ottimi e frequentavo l’Alberghiero, che è la mia passione. Ma la situazione era diventata insostenibile: diversi professori mi ricordavano puntualmente quanto le mie scelte fossero contro natura, immature, sbagliate. Rifiutavano di accettarmi per quello che avevo scelto di essere. Il giorno della Festa della Donna, con altre cinque compagne in classe, una professoressa fece gli auguri solo a me». Quando Thomas venne aggredito, le foto del suo volto insanguinato fecero il giro dei social. In quell’occasione capitarono anche sotto gli occhi di Lavinia, 23 anni. «Pensai immediatamente: devo mettermi in contatto con lui, fargli capire che non è solo», ricorda. «Qui in provincia siamo pochi, ci conosciamo tutti. Noi della comunità non dobbiamo essere amici per forza: esco con te se mi stai simpatico, non in base alle tue preferenze sessuali. Ma se succede qualcosa, se vieni discriminato, scatta un senso di protezione», racconta ancora. «Di solito chi compie questi gesti lo fa da codardo: da una macchina, così poi può correre via. Sa che se lo facesse senza la possibilità di scappare, verrebbe riconosciuto, e probabilmente qualcuno interverrebbe».


Restare

Ma nei piccoli centri non c’è solo la rabbia. «Qui si è meno categorizzati, a differenza delle grandi città dove si creano paradossalmente gruppi meno eterogenei, accomunati da precise caratteristiche – spiega Lavinia -. Certo, chi fa coming out va incontro alle chiacchiere di paese, fa i conti con un periodo nel quale è al centro del gossip. Ma finito quello, torna ad essere semplicemente chi è: la ragazza che andava alle elementari con te, il ragazzo che è il cugino del tuo amico o il figlio della tua catechista». Lavinia, che collabora con l’Assessorato per le politiche Lgbtq+ della città, ha scelto di restare. Thomas, di tornare: «Roma mi ha fatto scoprire un mondo. Lì per la prima volta ho smesso di sentirmi sbagliato. Ma lì ho anche imparato il valore di aprirmi, per aiutare gli altri. E questo ha trasformato Cisterna, ai miei occhi, in un posto sicuro». Ma c’è anche chi prende un biglietto di sola andata per la Capitale.

Partire

Gioele lo ha fatto ormai otto anni fa, quando ha capito che nella vita voleva diventare un ballerino di Voguing, uno stile di danza contemporanea (nato nei locali gay frequentati da latinoamericani e da afroamericani già dai primi anni sessanta), e di Waacking (uno stile di danza di strada nato negli anni settanta, nei night club e nelle discoteche gay della costa ovest degli Stati Uniti d’America). A Gioele, che è nato e cresciuto a Velletri, in provincia di Roma, la città non ha offerto solo lo spazio per realizzare il suo talento. Ma anche un’opportunità di riscatto: «Sono cresciuto sentendomi giudicato, additato, insultato. All’inizio ci rimanevo male, mi chiedevo: “cosa c’è che non va in me”? Quando ho visto invece che nella grande città ero apprezzato per gli stessi motivi per cui in provincia mi insultavano, la prospettiva nella mia testa è cambiata. Adesso non mi chiedo più “perché a me?”. Ma penso: “Wow, è capitato a me!”».

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